Tribù, clan, contestazioni L’elezione del capo talebano

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È aperta la lotta per la successione tra i talebani pachistani inquadrati nel Tehrik-i-Taliban, il loro movimento più rilevante. L’uccisione venerdì in Waziristan del loro leader, il trentenne Hakimullah Mehsud, assieme ad un numero imprecisato di fedelissimi — il loro convoglio è stato colpito da almeno quattro missili ad alta precisione sparati dai droni americani — rilancia vecchie diatribe tra i leader dei gruppi armati pashtun «cugini» dei talebani che operano in Afghanistan. Sarà un confronto duro il loro. In passato i clan rivali si sono sparati contro in scaramucce costate centinaia di morti. Avvisaglia delle tensioni che seguiranno sono già i fatti delle ultime ore. Dopo i funerali segreti di Mehsud, i capi talebani si sono incontrati per la tradizionale Shura (il consiglio) in una moschea a Miram Shah, nelle zone montagnose del Nord Waziristan, non lontano dal confine afghano. Sabato alcuni loro portavoce avevano annunciato l’elezione temporanea del 38enne Khan Said (nome di battaglia Khakud Sajan), considerato relativamente moderato. Ma ieri è emerso il nome di Asmatullah Shaheen, comandante della guerriglia nel Waziristan meridionale.
Punto nodale del confronto è una diatriba annosa: restare legati agli interessi locali delle proprie popolazioni nelle zone tribali in Pakistan (le regioni che da sempre godono di forte autonomia dal governo centrale), oppure allearsi alle formazioni della guerriglia pan-islamica in Afghanistan e nel resto del mondo musulmano? La questione è stata particolarmente dibattuta alla fine degli anni Novanta e dopo gli attentati contro gli Stati Uniti l’11 settembre 2001: scegliere se restare alleati con Al Qaeda, oppure prenderne le distanze. C’è anche chi ha più volte cambiato bandiera. È il caso del mullah Fazlullah, noto leader islamico nella vallata dello Swat, che nel 2001 fu tra i circa 11.000 talebani pachistani partiti volontari per combattere le truppe americane e i loro alleati in Afghanistan. Catturato, deportato a Guantanamo, una volta tornato a casa, otto anni fa, Fazlullah ha scelto di focalizzare i suoi interessi sullo Swat diventando famoso anche con l’appellativo di «Mullah radio» per la sua emittente di programmi rigorosamente islamici. L’anno scorso furono i suoi uomini a sparare alla giovane studentessa Malala Yousafzai, oggi diventata la paladina nel mondo per il diritto allo studio delle giovani nell’universo dell’integralismo musulmano. Oggi Fazlullah è tra i candidati più quotati per la successione di Mehsud.
Altre divisioni riguardano il rapporto con le forze di sicurezza pachistane. Il fondatore dei Tehrik-i-Taliban, Baitullah Mehsoud (a sua volta ucciso da un aereo senza pilota Usa nell’agosto 2009), ne era l’acerrimo nemico. Ma altri alleati del movimento, per esempio il potente clan Haqqani, mantengono profondi legami con l’Isi, il servizio segreto pachistano. Il tema è di attualità tra la trentina di organizzazioni, clan e tribù che fanno partedella Shura e che nei prossimi giorni eleggeranno il nuovo gruppo dirigente .
Conseguenza immediata del blitz americano è l’ulteriore peggioramento delle relazioni tra Washington e Islamabad. La crisi seguita all’assassinio di Osama Bin Laden ad Abbottabad il 2 maggio 2011 era stata seguita da forti pressioni da parte pachistana per ridurre i bombardamenti degli aerei senza pilota. Ora Islamabad potrebbe decidere di bloccare il traffico di veicoli Nato sul proprio territorio. Per le truppe del contingente internazionale in Afghanistan sarebbe un colpo molto grave. Tale da rendere estremamente difficoltosa e costosa anche l’evacuazione di uomini e materiali in vista del ritiro del 2014. Negli ultimi anni sono stati centinaia gli attentati contro le lunghe file di camion che dal porto di Karachi attraversano tutto il Pakistan per arrivare al passo Khyber e da qui raggiungere Kabul. Ma ancora oggi i comandi Nato-Isaf preferiscono questa via, specie d’inverno, piuttosto che le strade sulle montagne che portano al Tajikistan. Ieri sera i portavoce di Islamabad annunciavano l’intenzione di «rivedere» i rapporti con gli Usa.
Lorenzo Cremonesi


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