Dagli Usa alla Corea del Sud il club dei Paesi che corrono ecco dove l’economia è ripartita

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NEW YORK — «Per alcuni investitori, questo clima di euforia ricorda il 1999». Il Wall Street Journal fa un paragone storico che per gli europei è incomprensibile. Troppa euforia? Quel titolo non si riferisce solo alla Borsa americana o ad altre piazze finanziarie che hanno messo a segno rialzi sostenuti e segnano ormai i record storici assoluti. Bolle speculative a parte, è sul fronte dell’economia reale che le cose girano per il verso giusto. Dall’America all’Asia, è un susseguirsi di buone notizie. Un mondo intero è in crescita, anche se gli europei fanno fatica ad accorgersene. Un mondo che ha voltato pagina rispetto alla crisi, anche perchè ha adottato terapie economiche diametralmente opposte a quelle dell’eurozona. Situazioni diverse tra loro, come gli Stati Uniti e la Cina, la Corea del Sud e l’Indonesia, Taiwan e il Giappone. Unite da un tratto comune: ripresa manifatturiera, esportazioni che tirano, occupazione in aumento. E dietro questi segnali positivi, c’è un armamentario di strumenti che va dagli investimenti pubblici alle politiche monetarie delle banche centrali. Casi da manuale, all’opposto di quel che sta facendo il Vecchio Continente, unico buco nero nella ripresa globale.
Che ci sia o meno una bolla finanziaria (il tema agitato dal Wall Street Journal divide gli esperti), ciò non toglie nulla ad altri segnali. L’indice manifatturiero Usa segna il massimo da due anni e mezzo. E’ la conferma di un’economia reale che torna a produrre cose, dopo tanti indizi che la re-industrializzazione degli Stati Uniti è un fenomeno tangibile, non solo uno slogan di Barack Obama. Sulla sponda opposta dell’oceano Pacifico, un quartetto guida la ripresa. In Cina, la seconda economia del pianeta, l’indice manifatturiero è ai massimi da 18 mesi. Il Pil cinese è destinato a crescere del 7,6% quest’anno, sconfiggendo i timori di una frenata. Lo stesso indicatore manifatturiero compilato dalla società Markit dà una ripresa altrettanto vigorosa in Corea del Sud, Indonesia e Taiwan. Il nuovo boom dell’Estremo Oriente traspare in alcuni indicatori di settore, che non sono soltanto aneddotici. Il trasporto aereo, per esempio. Proprio mentre l’Alitalia diventa uno dei simboli industriali della crisi di un grande Paese europeo (e di una destinazione turistica di fama mondiale), le compagnie aeree asiatiche annunciano un incremento del traffico dell’8,5%.
Che la ripresa cammini sulle gambe dell’economia reale, lo dimostra l’ennesimo miracolo sudcoreano. La Hyundai migliora del 4% i suoi profitti, la Samsung fa addirittura un balzo degli utili del 25%. Il Giappone non è da meno: sotto la guida del premier
Shinzo Abe sta finalmente uscendo da una lunga depressione durata quasi vent’anni. Il caso nipponico è un concentrato di lezioni sulle terapie da adottare per uscire dal “buco nero” in cui l’eurozona resta prigioniera. Le ricette di Abe mettono insieme una sintesi felice di quel che è stato fatto in precedenza sia a Washington che a Pechino. “Abenomics”, com’è stata battezzata la terapia del Sol Levante, è fondata su una robusta manovra di investimenti statali nelle infrastrutture; più una politica monetaria molto aggressiva. La manovra anti-crisi di Tokyo si ispira ai due pacchetti di investimenti pubblici che Washington e Pechino lanciarono nel 2009. La politica della Banca del Giappone è “clonata” da quella della Federal Reserve: massicci acquisti di bond sul mercato, per schiacciare il costo del denaro e al tempo stesso svalutare la moneta. Non lontano, il modello sudcoreano ha tratti analoghi. Anche la Corea del Sud ha usato energicamente la leva degli investimenti pubblici, e anche la sua banca centrale “pilota” abilmente la moneta onde evitare che si sopravvaluti. Risultato: la Corea del Sud ha guadagnato in modo spettacolare quote di mercato proprio nell’eurozona, aumentando del 16% le sue vendite. Una crescita di esportazioni del 16% in un mercato stagnante come quello europeo, non può che avvenire sottraendo quote di mercato ai produttori locali. La qualità delle tecnologie sudcoreane aiuta, ma anche il rapporto di cambio è favorevole.
Tutti gli ingredienti che hanno aiutato la ripresa americana, cinese, giapponese e sudcoreana sono assenti nelle politiche dell’eurozona. Gli investimenti pubblici sono bloccati dall’interpretazione rigida dei parametri di Maastricht (un vincolo che non esiste in altre parti del mondo). La politica monetaria della Bce ha prodotto fin qui una sopravvalutazione del cambio, deleteria per gli esportatori. Un altro aspetto della politica monetaria fa la differenza tra l’eurozona e le aree in ripresa. Gli aiuti della Bce alle banche, forniti direttamente attraverso crediti di favore, restano nelle mani degli istituti di credito e non defluiscono verso l’economia reale. La Fed, poi imitata dalla Banca del Giappone, ha scelto una tecnica diversa, quella degli acquisti sul mercato aperto, che ha avuto come conseguenza benefica la rivitalizzazione del credito alle famiglie e alle imprese.

 


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