La rabbia di Suha Arafat: «Ucciso in modo vigliacco da un traditore nel Palazzo»

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Il leader palestinese viveva sotto assedio da ventiquattro mesi, circondato dai carrarmati israeliani e attorniato dai suoi fedelissimi. Che gli preparavano il mangiare, gli versavano il té o il caffé, lo aiutavano a lavarsi.
La vedova ha ricevuto da un paio di giorni il rapporto dei medici dell’ospedale universitario di Losanna, 108 pagine per provare a spiegare le cause della morte, un dossier che i patologi svizzeri esitano a definire conclusivo. Rivelano di aver trovato tracce di polonio 210 diciotto volte superiori alla norma nei frammenti di ossa ma ammettono: «Possiamo escludere il polonio come responsabile del decesso? La risposta è chiaramente no. Possiamo affermare con certezza che il polonio ne sia il responsabile? La risposta è purtroppo no». La squadra incaricata da Suha di riesumare il corpo un anno fa dal mausoleo a Ramallah considera comunque l’ipotesi dell’avvelenamento la «più coerente».
Per Suha non è un’ipotesi. Da Losanna e Parigi sta tornando sull’isola di Malta dove vive con la figlia Zahwa, che in luglio è diventata maggiorenne. «È un omicidio politico — commenta al telefono —, è stato ucciso in modo vigliacco. Se fosse morto in battaglia, sarebbe stato diverso. Così è ancora più scioccante, questa scoperta mi ha fatto ritornare in lutto». Racconta: «Il criminologo britannico David Barclay non mi ha lasciato dubbi. Il polonio deve essere stato somministrato a Yasser da qualcuno molto vicino a lui, che gliel’ha messo nel té, nel caffé o nella cena».
L’isotopo radioattivo è lo stesso rilevato nel corpo di Alexander Litvinenko, l’ex colonnello dei servizi segreti russi che aveva denunciato le trame cecene ed era morto avvelenato a Londra nel 2006. È un elemento molto raro, che gli scienziati definiscono «esotico». A Suha gli esperti hanno spiegato che «viene realizzato all’interno di un reattore nucleare»: «Con questo non voglio dire che uno Stato sia per forza coinvolto nel complotto, il polonio potrebbe essere stato acquistato al mercato nero».
Ad accusare uno Stato sono invece i nuovi capi palestinesi, che chiedono un’inchiesta internazionale («come per l’assassinio del premier libanese Rafiq Hariri», pretende Wassel Abu Yussef) e fanno capire che l’eliminazione del raìs era nell’interesse degli israeliani.
Dov Weisglass, all’epoca consigliere del premier Ariel Sharon, smentisce che il governo vedesse vantaggi nella scomparsa del presidente palestinese: «A quel punto era isolato e senza potere», commenta all’agenzia Associated Press . Raanan Gissin, un altro assistente di Sharon, ricorda: «Il primo ministro non voleva aver niente a che fare con la morte di Arafat, è per quello che ha dato il permesso per il trasferimento all’ospedale militare a Parigi». Silvan Shalom, ministro degli Esteri nel 2004, assicura: «Non abbiamo mai approvato la decisione di colpirlo fisicamente».
Oggi a Ramallah la commissione d’inchiesta palestinese presenta i risultati delle analisi sui resti del leader effettuate dall’istituto forense di Mosca. Suha non ci sarà, sono anni che non torna, in questi giorni non ha parlato con nessuno dei successori del marito. «Il presidente Abu Mazen ha permesso la riesumazione del corpo, per questo lo ringrazio. Adesso deve garantire che i colpevoli vengano trovati».
Davide Frattini


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