”Nella legge di stabilità un Piano contro la povertà assoluta”

by Sergio Segio | 11 Novembre 2013 12:13

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 ROMA – Si sono dati tre mesi di tempo per presentare una proposta organica di riforma, ma la richiesta inviata già ora al governo è perentoria: un Piano nazionale contro la povertà va avviato immediatamente, a partire dal 2014, e quindi deve trovare posto nella legge di stabilità attualmente in discussione in Parlamento. A parlare sono i venti soggetti sociali – ci sono associazioni, organizzazioni, istituzioni, sindacati – che hanno scelto di mettersi insieme per dire con più forza e più decisione che l’Italia ha bisogno urgente di politiche adeguate contro la povertà assoluta, quella che colpisce sempre di più e sempre più duramente, e che interessa oggi l’8% dei residenti nel nostro paese. L’hanno chiamata “Alleanza contro la povertà” ed è una novità assoluta per numero, caratura e prestigio dei partecipanti.

L’Alleanza. Ci sono associazioni e organizzazioni come le Acli, Action Aid, Azione cattolica, Caritas Italiana, Cnca, Comunità di Sant’Egidio, Confcooperative, Federazione Società di San Vincenzo de’ Paoli, Fio.PSD, Fondazione Banco Alimentare, Forum del terzo settore, Lega delle autonomie, Movimento dei focolari, Save the children e Jesuit Social Network, ma anche sindacati (Cgil, Cisl, Uil) e soggetti istituzionali (c’è l’Anci e c’è la Conferenza delle regioni e delle province autonome). Tutti insieme, partendo dal lavoro già fatto nei mesi passati (la proposta del Reis avanzata da Acli e Caritas, oltre a quella del Sia promossa dal ministro del Welfare Giovannini), annunciano nel giro di tre mesi una proposta organica di riforma condivisa da tutti. Nel frattempo, però, dato che il tempo stringe, dicono chiaro e tondo che “le conoscenze e le esperienze maturate permettono di fare del 2014 il primo anno del Piano nazionale contro la povertà del quale il nostro paese ha evidente bisogno”.

Al governo dunque viene chiesto di trovare risorse maggiori rispetto al “modesto finanziamento” inserito per il momento nella legge di stabilità, per avviare nel prossimo anno un Piano che si rivolga a “tutte le persone in povertà assoluta” e che si basi non su una logica “meramente assistenziale” ma piuttosto sulla promozione di un atteggiamento attivo da parte dei beneficiari. Il diritto all’erogazione monetaria va affiancato da subito con l’erogazione di servizi mirati ad acquisire professionalità e a dare supporto psicologico e sociale, con l’obiettivo di aiutare il soggetto ad uscire dalla situazione di povertà. Soldi e servizi, dunque, per un’azione concertata fra lo Stato, gli enti locali e le organizzazioni sociali e del terzo settore.

Nel primo anno (appunto il 2014, nell’intenzione dei proponenti) si prenderanno in carico le persone “che stanno peggio”, cioè quelle che versano in “condizioni economiche più critiche” e progressivamente, negli anni successivi, si allargherà la copertura anche a chi, pur sotto la soglia di povertà assoluta, sta “un po’ meno peggio”. Nel giro di alcuni anni dovranno essere coperte tutte le persone in condizioni di povertà assoluta. Quanti anni non è al momento specificato, ma come termine di paragone ricordiamo che il Reis di Acli e caritas prevedeva un periodo di quattro anni per andare a regime.

L’avvio del Piano nazionale, precisano i membri dell’Alleanza, dovrà garantire continuità con le prestazioni attuali: chi dunque usufruisce della carta acquisti attiva dal 2008, piuttosto che della sperimentazione della cosiddetta “nuova social card” in 12 grandi città o ancora della Carta per l’inclusione sociale attiva in otto regioni del sud, dovrà essere traghettato nella nuova misura “senza interruzioni di servizio pubblico”. Serve “gradualismo” (non si fa tutto subito, ma si inizia un percorso che via via allarga la platea fino a comprenderla tutta nel giro di qualche anno) e lo si fa “in un orizzonte definito”, in una prospettiva certa pluriennale, anche perchè “la costruzione di un sistema locale di servizi adeguato alla lotta contro l’esclusione sociale richiede investimenti e programmazione” (e la stima economica e previsionale deve essere “almeno biennale”). A regime, poi, concordano i soggetti dell’Alleanza, “la misura dovrà costituire un livello essenziale delle prestazioni sociali” e dunque dovrà essere “interamente finanziata dallo Stato”. Deve esserci certezza, insomma, deve esserci un “chiaro impegno” dello Stato a farsi carico della situazione a regime: altri finanziamenti come i fondi europei possono essere usati parzialmente durante la transizione, e i contributi privati avere una funzione “complementare” di rilievo, ma deve essere garantito il “necessario finanziamento statale del livello essenziale”.

Nell’immediato, poi, tanto per evitare ogni equivoco, “no ad una guerra fra poveri”, dicono i componenti dell’Alleanza, che sottolineano: “Le risorse necessarie per finanziare la misura contro la povertà assoluta non dovranno essere recuperate togliendole ad altre fasce deboli o a rischio di fragilità”. Il che, tradotto nel linguaggio della legge di stabilità, vuol dire che non si vogliono utilizzare le risorse oggi destinate ai fondi nazionali (anzitutto Fondo per le politiche sociali e Fondo per la non autosufficienza), ai quali va garantito il “necessario rifinziamento”, ma che ne devono essere trovate di aggiuntive rispetto ad esse. Nulla infine di ciò che oggi i territori (a partire dalle regioni e dai comuni) destinano alla lotta alla povertà dovrà andare perduto, così come andrà valorizzato nella riforma tutto il patrimonio di esperienze maturate sul tema a livello territoriale da enti locali, terzo settore e oerganizzazioni in genere. (ska)

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