La nuova dottrina rossa «Più mercato meno Stato»

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PECHINO — «Deciderà il mercato». È questa la promessa del Partito comunista per permettere alla Cina di continuare a crescere. Dopo quattro giorni di conclave segreto, in un luogo non rivelato di Pechino, il Terzo Plenum del 18° Comitato centrale ha affidato all’agenzia Xinhua una sintesi del documento votato dai circa 200 uomini che dettano la linea alla seconda economia del mondo. «Bisogna lasciare che sia il mercato a giocare il ruolo decisivo nella distribuzione delle risorse», è la frase messa in risalto, c’è da credere su ordine preciso del partito. Ancora poche settimane fa Xi Jinping, il segretario generale, nonché capo dello Stato, parlava di «ruolo di base» del mercato e quindi il nuovo aggettivo «decisivo» sembra promuovere un diverso equilibrio.
Difficile decifrare quanto ci sia di concreto, di rituale e di sottinteso nel linguaggio della leadership comunista. Il titolo del comunicato è ponderoso: «Decisione del Comitato centrale del partito comunista cinese su diverse importanti questioni dell’approfondimento omnicomprensivo delle riforme». E in un altro passaggio, subito dopo la promozione del mercato, si legge che «l’economia di proprietà pubblica e quella non pubblica sono entrambe parti importanti del sistema socialista». E ancora: «Bisogna mantenere l’autorità del partito». Detto così, sembrerebbe che il partito (e lo Stato, che in Cina è la stessa cosa) non si ritiri di un palmo dal controllo delle sue mastodontiche industrie.
Tra gli altri punti chiave suggeriti alla stampa e alla tv cinese c’è «la promozione della riforma delle terre agricole, per dare ai contadini diritti sulla proprietà». Citata una riforma del sistema fiscale e della distribuzione del reddito. Senza ulteriori specificazioni. Obiettivo per il completamento del progetto l’anno 2020.
Vengono costituiti due nuovi organismi: un «gruppo leader centrale» dovrà guidare l’attuazione delle riforme. E poi nascerà un «comitato di sicurezza nazionale». I caratteri cinesi usati per questa agenzia sono gli stessi che identificano il Consiglio per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, che partecipa alle scelte di politica estera del presidente.
Il Terzo Plenum, nella storia della Repubblica popolare, significa grandi svolte: nel 1978 e nel 1993 fu in quelle riunioni del Comitato centrale che la Cina si mise a perseguire industrializzazione e crescita. Prima di questo Terzo Plenum erano state fatte grandi dichiarazioni di fiducia: «Svolta senza precedenti»; indicati cambiamenti nel sistema bancario, nella tassazione, nel controllo e vendita della terra agricola, nel welfare, nell’innovazione, nella convertibilità dello yuan, nell’abbandono del sistema del figlio unico.
Troppo presto per sapere se il «gruppo leader centrale» abbia un mandato chiaro per tutti questi settori.
Zhu Lijia, professore alla facoltà di pubblica amministrazione della Accademia di governance, dice al Corriere : «Le parole chiave sono “omnicomprensivo” e “approfondimento”. Nel passato eravamo sempre e solo concentrati sugli aspetti economici, ma stavolta è un piano di riforme complessive che riguardano tutti settori, compresi quelli sociale e ambientale. Vedo una riforma strutturale». Dieci anni per realizzarla, dice il Plenum. «No, troppo. Bisogna raggiungere risultati entro uno, due anni al massimo».
La Xinhua assicura che «il piano di riforme farà bene al mondo», evidentemente ancora su ispirazione dall’alto. E celebra i trionfi di questi 35 anni di crescita. Nel 1978, il Pil valeva 60 miliardi di dollari. Nel 2012 i miliardi sono stati 9 mila. Il prossimo obiettivo è raddoppiare il reddito medio dei cinesi entro il 2020 e tenere una crescita del Pil al 7 per cento (quest’anno si chiuderà intorno al 7,6).
Certo, ora tutti ricordano il 1978, quando al suo Terzo Plenum Deng Xiaoping lanciò la grande apertura della Cina al mercato, superando il maoismo puro e duro. La promessa di questo Plenum sembra meno forte. Ma rileggendo il comunicato con le decisioni di quel vertice tanto celebrato di 35 anni fa, ci si accorge che la parola «mercato» non c’era e le «riforme» erano citate appena due volte. Solo sei anni dopo l’espressione «riforma e apertura» si conquistò un posto nella storia.
Quanto ci vorrà perché i progetti di grande riforma siano applicati? Il Quotidiano del popolo ha ricordato il proverbio cinese secondo il quale il fiume si attraversa dopo aver messo un piede dopo l’altro su tutte le pietre del suo letto. Piaceva molto a Deng quel modo di dire che invitava alla cautela. Ma il giornale del partito spiega che non è più il tempo di seguire il vecchio adagio: «Ora serve determinazione, audacia». Qualcuno, dal conclave, deve aver ispirato anche questo appello.
Guido Santevecchi


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