Clinton in campo sulla sanità «Obama, cambia la legge»

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NEW YORK — «Penso che il presidente debba onorare l’impegno preso di consentire ai cittadini, se lo vogliono, di tenere le loro vecchie polizze per le cure mediche. Deve farlo anche se questo comporta una modifica della legge che ha riformato la sanità». La sortita di Bill Clinton — fin qui un ferreo sostenitore di Obamacare fino al punto di trasformare un suo recente incontro pubblico con Barack Obama in uno spot a favore della riforma — segna un salto di qualità nella battaglia sulla salute in corso negli Usa.
Le nuove regole che dovevano essere un motore di progresso sociale e diventare la principale eredità politica della sua presidenza sono, oggi, una palla al piede per Obama: presidente in caduta libera nei sondaggi che non solo è sotto i continui attacchi dei repubblicani, ma ora deve vedersela anche col malumore dei suoi compagni di partito. Molti dei quali, sommersi da migliaia di lettere di protesta dei loro elettori, temono di pagare caro gli errori della Casa Bianca alle elezioni di mid term del prossimo anno. Ieri il governo ha fornito le prime cifre ufficiali ammettendo che nel primo mese di applicazione della riforma solo 106 mila cittadini (e non un milione come era stato previsto) si sono iscritti al nuovo sistema assicurativo.
Già diversi senatori democratici come Dianne Feinstein, che in California ha già ricevuto 31 mila lettere telefonate ed email di cittadini inferociti, o come Mary Landrieu il cui seggio è a rischio in Louisiana, hanno proposto il varo di una norma che consente agli assistiti di tenersi le vecchie polizze, magari con un adeguamento automatico ai nuovi standard. La Casa Bianca promette di cambiare qualcosa ma non dice come e comunque non vuole modificare la legge temendo di essere bloccata di nuovo dai veti repubblicani. Ma adesso la sortita del suo predecessore mette il presidente in grande difficoltà: «Obama è finito sotto il Tir di Bill Clinton», gongolano i repubblicani, mentre dalla Casa Bianca trapelano voci di incontri molto tesi tra influenti esponenti del partito democratico e gli uomini del presidente.
Tutto questo perché la crisi, ormai, va molto oltre il malfunzionamento del sistema informatico sul quale è costruita la riforma. I ritardi hanno reso drammatico un altro problema, fin qui sottovalutato: Obama per anni ha promesso, con una certa leggerezza, che chi non intendeva avvalersi delle nuove polizze «riformate», avrebbe potuto tenersi quelle vecchie. I suoi esperti hanno sempre saputo che questo non era vero perché Obamacare fa decadere dal prossimo primo gennaio le formule assicurative che non rispettano i nuovi standard, come quelle che non coprono le spese di maternità e la chemioterapia di lungo periodo.
Pensavano fosse un’imprecisione minore che non sarebbe stata notata, visto che gli assicurati sarebbero passati comunque a un sistema migliore. Ma polizze con l’ombrello più ampio sono anche polizze più costose. E l’incrocio tra la semiparalisi del sistema informatico della riforma e l’onda delle lettere di disdetta dei vecchi contratti inviate a milioni dalle compagnie assicurative, ha creato una situazione politicamente insostenibile.
Il presidente si è scusato per il disastro tecnologico e ha promesso che tutto tornerà alla normalità entro fine novembre. Ma ieri il capo delle tecnologie della Casa Bianca, Todd Park, chiamato a deporre sotto giuramento davanti al Congresso, ha frenato anche su questo: tra 15 giorni il sistema funzionerà per «gran parte dei cittadini» non per tutti.
Massimo Gaggi


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Ajay Sanhi dirige l’Institute for conflict management, centro di ricerca con sede a New Delhi che pubblica tra l’altro il South Asia Terrorism Portal, autorevole osservatorio sui conflitti in Asia meridionale.

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