Le letterine della Terra dei Fuochi «Caro Gesù salvaci dal cancro»

by Sergio Segio | 16 Novembre 2013 8:36

Loading

«Caro Gesù, voglio che il cancro ai bambini e ai signori più anziani che non muoiono e per i roghi tossici che non ci uccidono». Tolgono il fiato, le letterine dei piccoli alunni della maestra Francesca che insegna catechismo nella parrocchia di San Paolo a Caivano, nell’epicentro della Campania avvelenata. Letterine piene di paura, dolore, malattia, morte. Di speranze a breve termine come quelle di Emanuela: «… e per noi che viviamo con tanti rifiuti tossici grazie che mi fai vivere ogni giorno di più grazie Gesù». (Nella foto, un’immagine del 12 agosto scorso).

Avere ancora il dono di un anno di vita, un mese di vita, un giorno di vita. Bisogna sentirsi sul collo il fiato della morte, per attaccarsi a speranze così corte. Ed è insopportabile leggerlo nelle grafie infantili corredate da stelline e cuoricini. Don Maurizio Patriciello, che della chiesa di San Paolo è il parroco, si sfoga: «Non ne posso più, di seppellire bambini. Non ne posso più!».
Un giorno che proprio non gli reggeva il cuore ha detto messa appendendo all’altare le foto dei parrocchiani assassinati dai veleni industriali. Giovanotti baffuti, belle ragazze, omaccioni allegramente panciuti… E poi Dalia, che aveva solo undici anni, gli occhi profondi e un sorriso dolcissimo e prima di andarsene intervistò la nonna, col registratore, per chiederle della vita, della malattia, della morte. E Alessia, che fece appena in tempo a cominciare le elementari e aveva un orsetto bianco col vestitino fucsia. E Riccardo, che non aveva ancora due anni quando se lo portò via una leucemia.
Sarà gonfio di angoscia, dolore e rabbia il corteo che oggi solcherà il centro di Napoli. «Hai il coraggio di far finta di niente?», chiede il volantino che convoca «un fiume in piena» a piazza Mancini. Dicono gli organizzatori, in testa quel parroco con la faccia da vecchio scugnizzo che è riuscito ad accendere i fari sull’apocalisse della sua gente, che si aspettano centomila persone. Forse di più. E sperano di trascinare poi nella Terra dei Fuochi, sgomenti, Enrico Letta e Giorgio Napolitano e su tutti papa Francesco «cui non sfugge niente». Perché vengano a vedere coi loro occhi l’orrore di questa fertile piana assassinata. Perché affondino con le loro scarpe nel muschio appiccicoso di terra e di acidi. Perché sentano nelle loro narici la puzza della violenza e dell’ingiustizia.
Il rapporto degli americani dell’Us Navy pubblicato ieri da l’Espresso , rapporto costato pare 30 milioni di dollari e voluto «per capire quanto fosse pericoloso vivere in campagna per i militari americani e le loro famiglie», ha aggiunto angoscia ad angoscia. Dal 2009 al 2011, come scrivono Gianluca Di Feo e Claudio Pappaianni, «è stata scandagliata un’area di oltre 1.000 chilometri quadrati, analizzando aria, acqua, il terreno di 543 case e 10 basi statunitensi alla ricerca di 214 sostanze nocive». Il risultato conferma quanto tutti conoscono: lo stupro ambientale della Campania Felix «è senza precedenti nella storia».
Le autorità locali annunciano querele. Troppo generico, dicono, quel titolo «Bevi Napoli e poi muori». E ancora più furibondi sono quei contadini che coltivano terre che risultano essere ancora sane: «Non sappiamo più come tenerli calmi», spiega Enzo Tosti, del Coordinamento Comitati Fuochi, che raggruppa una sessantina di associazioni, «Non è giusto fare di ogni erba un fascio. Conosco coltivatori che fanno analizzare tutto, acqua e prodotti. E sono sani. Mischiare tutto senza distinguo significa darli in ostaggio a criminali che gli dicono: “Ti pago 20 euro al quintale sennò fottiti, tanto i tuoi pomodori e i friarielli non te li compra nessuno”».
È difficile però contestare il più duro dei giudizi del dossier Usa: «Siamo partiti dal considerare che in Italia non esistevano regole e un meccanismo valido per farle applicare. Nel corso del tempo è apparso chiaro che l’incapacità di far rispettare la legge da parte delle istituzioni ha contribuito alla situazione». Com’è difficile rassegnarsi a certi numeri: «I siti contaminati censiti nel 2005 erano 2.599, poi nel 2011 sono diventati 5.281: la provincia di Napoli ha il record di luoghi inquinati (2.532), quella di Caserta il primato di discariche illegali (851)». Solo 13 bonificate…
«Mio cugino disse: qui si fanno i miliardi», conferma di intervista in intervista Carmine Schiavone, il cugino di Francesco «Sandokan», il capo dei Casalesi, che con le sue chiacchierate sulle confessioni di venti anni fa ha riaperto il caso dei rifiuti tossici scaricati per decenni in quella campagna che incantò («Tutta la campagna che circonda Napoli è un solo giardino d’ortaggi, ed è un godimento vedere le quantità incredibili di legumi…») Wolfgang Goethe, «Mi sono pentito quando ho visto morire bambini di due anni. Moriranno tutti, qui». Coro di commenti schifati: «Ipocrita!»
«Dai camorristi sapevamo di doverci aspettare di tutto: sono criminali. Ma lo Stato no! Dallo Stato avevamo il diritto almeno di essere informati. Invece per vent’anni ci hanno nascosto tutto. A partire dai luoghi dove i pentiti avevano detto di avere seppellito i rifiuti più pericolosi». Luigi Costanzo fa il medico nella Terra dei Fuochi e racconta che, in attesa del Registro dei tumori regionale («Non lo fanno perché sono terrorizzati dai possibili risultati») ha contato quanti cittadini hanno chiesto l’esenzione del ticket per la chemioterapia: negli ultimi quattro anni sono triplicati. «Tra i nemici c’è la miseria. Ho un paziente con il cancro che per 30 euro brucia i residui di lavorazione d’una fabbrica di scarpe che lavorando in nero non può smaltire le colle, il cuoio, gli acidi… Suo figlio che lavorava con lui è morto di leucemia. Ma lui continua. Ci manca la terra sotto i piedi. Viene gente e mi chiede: li posso mangiare i pomodori? E le zucchine? Cosa posso rispondere? I cavolfiori sono anticancerogeni ma qui ne hanno trovati con le foglie giallo paglierino…»
«Non sono tempi buoni per i camorristi. Sono in difficoltà perché la gente che si ritrova padri, sorelle, figli malati di cancro, per la prima volta, li mette in discussione», spiega Peppe Pagano, presidente della cooperativa sociale Agropoli, assistente psichiatrico seguace di Basaglia e anima combattiva della Nuova Cucina Organizzata di Casal di Principe che dà battaglia ai Casalesi puntando sul rilancio proprio della cucina e dei prodotti tipici garantiti («mangia sano, mangia campano») in quella terra malata. «Il guaio è che siamo pieni di poliziotti e carabinieri, e questo ci dà sicurezza, ma non ci sentiamo al fianco lo Stato. La politica. Sui beni confiscati alla mafia non ci siamo trovati contro i sicari ma la burocrazia. L’apparato. Gli uffici». E intanto, apparentemente quieta quieta, la camorra aspetta. Pronta a tornare in campo con le sue ruspe e i suoi camion quando uno scoppio più rumoroso di indignazione spingerà a varare in fretta e furia («Emergenza! Emergenza!») qualcosa che abbia l’aria di un risanamento.
Nell’immondezzaio dell’«Area vasta» di Giugliano, a ridosso della discarica della Resit bollata come «la più pericolosa di tutte» perché vi sono stati sepolti i fanghi tossici spostati dall’Acna di Cengio che stanno infettando la falda dopo aver già avvelenato in Liguria il Bormida (Beppe Fenoglio scriveva che la sua acqua aveva il «colore del sangue raggrumato»), le autorità locali hanno piazzato un campo nomadi con duecento bambini. Che giocano fra le cataste di rifiuti immondi e i pozzi da cui spurgano fumi tossici in un paesaggio da incubo.
Qualche chilometro più in là, a Taverna del Re, le galline di Salvatore Picone beccolano qua e là nel pollaio sul tetto incatramato della vecchia masseria del Pino assediata da sei milioni di ecoballe del deposito «provvisorio» pattume compresso più grande del pianeta. Hanno la forma rettangolare di immensi sarcofaghi, le cataste di ecoballe. E dall’alto sembra davvero un enorme sepolcreto di enormi bare blu. Quattro chilometri e mezzo quadrati, più dell’isola di Procida, dieci volte il Vaticano, di pattume incellofanato. Che hanno inghiottito la masseria con la sua madonnina benedicente e con la masseria gli orti e le galline e la vita stessa di Picone che dice di aspettare il giorno in cui, chissà, gli toglieranno d’intorno quei «provvisori» e spropositati sarcofaghi. Ma lo vedrà mai, quel giorno?
Gian Antonio Stella

Post Views: 180

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2013/11/2013-11-16-08-39-23/