Berlino: resta il rigore ma sì al salario minimo

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BERLINO — E’ partito un applauso, dalla platea del convegno organizzato annualmente dalla Süddeutsche Zeitung, quando Angela Merkel ha detto, replicando alle critiche sul surplus commerciale tedesco, che «non è assolutamente possibile provare a diminuire artificialmente il grado di competitività raggiunto dalla Germania». Toni fermi, ma con il sorriso sulle labbra, anche quando la cancelliera ha sostenuto — mentre si attendeva l’arrivo di Mario Draghi, bloccato dalla nebbia sugli aeroporti cittadini — che «si possono valutare i trend dei consumi e della produzione, ma sarebbe assurdo ridurre la produzione e la qualità dei nostri prodotti per andare incontro alle richieste di Bruxelles». Più chiari di così non si potrebbe essere.
La decisione della Commissione di aprire una procedura d’indagine sullo squilibrio delle partite correnti tedesche continua quindi a irritare Berlino. E questa volta è intervenuta personalmente la donna più potente del mondo, proprio mentre a Bruxelles, quasi nello stesso momento, il commissario agli Affari economici Olli Rehn replicava ai malumori del governo Merkel. «Mai detto che volevamo rendere deboli i Paesi forti», ha affermato, aggiungendo che la Germania «deve rafforzare la domanda interna con un sostenibile aumento delle retribuzioni».
In un certo senso, però, un passo verso i desideri di Bruxelles la cancelliera lo ha compiuto, annunciando – come ha fatto nello stesso discorso – il definitivo via libera all’introduzione di un salario minimo generalizzato che potrà anche costituire uno stimolo per il rilancio dei consumi. La richiesta della Spd nei negoziati in corso da varie settimane per illa nascita del nuovo governo è stata così accolta. «Una valutazione realistica della situazione ha dimostrato che i socialdemocratici non concluderebbero le trattative senza questa misura», ha ammesso, non nascondendo le sue perplessità su un provvedimento che i cristiano-democratici ritengono in grado di rappresentare una minaccia per i posti di lavoro. «La grande coalizione — ha poi puntualizzato — non è un desiderio dei politici. Ma è il risultato del voto degli elettori».
Una buona parte del discorso di Angela Merkel — che ha ricordato come lo squilibrio commerciale tedesco si sia ridotto in realtà, nei confronti degli altri Paesi europei — è stato diretto a respingere le critiche di chi accusa la Germania di «troppo rigore». «A volte — ha detto — sorprende il tenore di certe discussioni. Abbiamo un debito alto che dobbiamo ridurre. Non facciamo altro che lavorare per rientrare, in circa dieci anni, nei parametri a cui siamo vincolati».
Sull’Italia — al centro della discussione in un panel cui hanno partecipato la segretaria generale della Cgil Susanna Camusso, il germanista Angelo Bolaffi e gli industriali Andrea Illy e Mario Moretti Polegato — la cancelliera non è andata più in là di alcune parole di circostanza: «Si può dire che tra le nostre economie ci siano legami tanto stretti che ci incoraggiano ad approfondire anche i rapporti politici». Di un italiano, però, ha parlato molto bene. “Il presidente della Bce — ha detto — è una persona alla quale sta molto a cuore la competitività dell’Europa e, per questo, ho un altissimo grado di convergenza con lui su questi temi». Mario Draghi non era ancora in sala, ma avrà sicuramente apprezzato.
Paolo Lepri


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