“In Telecom una Spectre di criminali” Così si finiva nella trappola degli spioni

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MILANO — Per anni, la Security della vecchia gestione Telecom, ha spiato, seguito, pedinato e, sì, anche intercettato chiunque potesse arrecare un potenziale danno all’azienda. Dall’aspirante centralinista, al manager, per finire ai livelli più alti di chi, pubblicamente, esprimeva critiche sull’operato dell’allora azionista del colosso telefonico, Marco Tronchetti Provera. Si consultavano tabulati telefonici, informazioni dei servizi segreti, si attivavano intelligence di mezzo mondo pur di scoprire una crepa. La Security Telecom altro non è stato se non «un sodalizio criminale di rara pericolosità». Capace di controllare illegalmente almeno «4.200 persone».
A metterlo nero su bianco sono le motivazioni con le quali la prima Corte d’assise di Milano — presidente ed estensore Piero Gamacchio — ha giustificato le condanne del 13 febbraio scorso. Sette anni e mezzo per l’ex collaboratore del Sisde, Marco Bernardini, 5 anni e mezzo per l’ex investigatore privato fiorentino, Emanuele Cipriani, tre e mezzo per il giornalista Guglielmo Sasinini. I principali protagonisti di questa vicenda, invece, sono usciti anzitempo dal processo: il capo della Security, l’ex brigadiere Giuliano Tavaroli, che ha patteggiato 4 anni e 6 mesi, l’ex numero due del Sismi, Marco Mancini, «scudato» grazie al segreto di Stato. E l’ex azionista di maggioranza Telecom, Tronchetti Provera, condannato in primo grado a 1 anno e 8 mesi per la ricettazione di uno dei dossier finiti nel calderone dell’inchiesta. Gli imputati erano accusati a vario titolo di reati pesantissimi: dall’associazione a delinquere alla corruzione, dalla violazione del segreto di Stato all’accesso abusivo a sistema informatico. Al vertice di questa “Spectre”, proprio lo “sgusciante” Tavaroli, cresciuto di potere in quanto creatore «di allarmi», e poi autore, insieme con la sua squadra investigativa illegale, di «gravi attività criminali».
INTERCETTAZIONI ILLEGALI
Le motivazioni della sentenza dimostrano che Telecom ha effettuato illegalmente numerose intercettazioni telefoniche. I report sui nemici dell’azienda venivano completati anche attraverso attività di intelligence dei servizi segreti. Bernardini confessa di aver usato «Ciccio» Rossi, ex agente Sisde, per questo lavoro sporco. Così otteneva il traffico anche internazionale di due manager della stessa Telecom, che erano invisi ai vertici aziendali. «I numeri andavano in roaming internazionale (rintracciabilità nel
territorio, ndr), e quindi Rossi riusciva a portarmi il numero». In altri casi, le interferenze sulle «vite degli altri», avvenivano sfruttando gli stessi strumenti in mano a Telecom.
La segretaria dello scomparso manager Adamo Bove «ha riferito di aver trasmesso via fax tabulati del traffico storico di utenze estrapolate da Radar» all’onnipresente Giuliano Tavaroli. Radar è un complesso sistema informatico che permette di verificare – «senza lasciare tracce » – l’analisi dei contatti telefonici di un abbonato. La Corte di Milano è sicura quando afferma
che il processo ha dimostrato «abusi nell’utilizzo del sistema Radar, in teoria finalizzato all’individuazione delle frodi, ma che consentiva la produzione di tabulati senza lasciare alcuna traccia della persona che li aveva richiesti, né del fatto che erano stati richiesti».
Questo materiale illecito veniva richiesto a Telecom «da Tavaroli », garantisce l’imputato Fabio Ghioni. L’ex mago telematico del Tiger team di Telecom aggiunge che «l’utilizzo di questi tabulati è da mettere in relazione al controllo dei movimenti di persone».
OAK FUND
Tra le migliaia di dossier raccolti abusivamente, un capitolo a parte viene dedicato ad Oak Fund. La presunta «cresta», ottenuta alla fine degli anni 90 dai Ds con l’intercessione presso Colaninno per la sua scalata a Telecom. I giudici milanesi definiscono «la vicenda di una inaudita gravità». Non solo, sottolineano come sul dossier ci fosse «uno spiccato interesse dei vertici di Telecom (Tronchetti Provera), per capire chi vi fosse dietro a una società, temendo che questa celasse dei dirigenti del gruppo che avessero lucrato sulla acquisizione di Telecom da parte di Pirelli ». In aula, Tavaroli «ha negato di aver ricevuto un mandato da Tronchetti per creare un dossier sui Democratici di sinistra».
Ma subito dopo, la Corte d’Assise ricorda come «più volte si è argomentato sulla inattendibilità della versione di Tavaroli». Tavaroli avrebbe «informato Tronchetti Provera e, quest’ultimo, spaventato, aveva ordinato di bruciare quel dossier e addirittura di dimenticarne l’esistenza ». Una versione poco creduta, visto che ancora le toghe ricordano come Tavaroli «non abbia saputo spiegare perché proprio di quel dossier avesse viceversa parlato con Marco Mancini ». Su questo punto, caduto in contraddizione, Tavaroli in aula ha dovuto «ammettere di aver effettuato sul tema verifiche anche con i Servizi».
L’ipotesi di Tavaroli: ai Ds, attraverso vorticosi giri di denaro estero su estero, sono state pagate fior di tangenti. I presunti destinatari finali vengono chiamati «Baffino (D’Alema, ndr) e P.F. (Fassino, ndr)». Ma la conclusione dei giudici è che il dossier sia una vera e propria patacca.
IL DOSSIER DE BENEDETTI
Bernardini ammette in aula di «aver svolto investigazioni anche su Carlo De Benedetti (azionista di riferimento del gruppo Espresso,
ndr)». «Si ipotizzava – era il sospetto che circolava in Telecom – che potesse approfittare di certe posizioni per prendere dei soldi e usarli poi con il gruppo». Le ricerche diedero «esito negativo». Per essere utile alla causa della Security Telecom, Bernardini ammette di aver attinto «ai fascicoli riservati del Sisde o di altri organi istituzionali ». Così fece anche su De Benedetti.
MUCCHETTI PEDINATO
Dopo aver scritto una serie di articoli sul gruppo Pirelli-Telecom, Massimo Mucchetti è stato anche oggetto di tecniche di pedinamento. Gli fu affiancata una ragazza molto appariscente nel tentativo di scoprire quali fossero le sue fonti. La donna tentò di agganciare il giornalista in un bar vicino alla sede del Corriere: quattro, cinque incontri per ottenere dati del cellulare e metterlo sotto controllo. Ma Mucchetti non cedette. Tutti i numerosissimi report sul giornalista, hanno dato «esito negativo ». Il suo comportamento, nonostante un dispiegamento di forze impressionante della Security Telecom, ha dimostrato che il comportamento del giornalista si è sempre dimostrato «ineccepibile».


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