Fuori dal Senato e subito in piazza La scelta del leader «decaduto»

Loading

Non è più parlamentare, non sarà più neppure Cavaliere, ma ha voluto dimostrare di essere ancora il capo della destra italiana, o di quel che ne resta. Nell’ultimo giorno da senatore Silvio Berlusconi ha aperto l’ultima campagna elettorale. Non si fa vedere al Senato, rinuncia alla terza camera di Vespa: gli interessa solo la piazza. La folla – età media non distante dalla sua – lo acclama sotto casa, un drappello infreddolito lo segue dal maxischermo sotto il balcone del Duce. Berlusconi – girocollo nero e giacca, incurante del gelo – evita di nominare i nemici, Alfano che lo ha abbandonato e Napolitano che gli ha negato la grazia. Ma è evidente che una stagione si è chiusa. Non tanto la vita politica del leader, che si prepara a portare Forza Italia alle elezioni anticipate, Colle permettendo; quanto l’epoca delle larghe intese, iniziata nel novembre 2011 e chiusa ieri con un magro bilancio: una (contestata) riforma economica, le pensioni, e zero riforme istituzionali.
Al Senato l’atmosfera sarebbe da rito burocratico, se non fosse per l’unica persona davvero affranta, che a tratti fa salire il registro dalla noia al dramma: Sandro Bondi. L’ex ministro somatizza la sofferenza inflitta al capo, si prende la testa tra le mani, rivolge sguardi di odio a Giarrusso dei Cinque Stelle che esulta per la cacciata del reprobo, applaude ironicamente i «traditori», viene quasi alle mani con Formigoni, attacca i senatori a vita: «Non ci siete mai, siete venuti solo oggi! Vergognatevi!». «Vergogna!» urla accanto a Bondi la sua compagna, Manuela Repetti. Interviene a sostegno Gasparri: «I senatori a vita sono qui per unirsi alla gogna, per partecipare a un’esecuzione!».
Il Cavaliere (ma ora dovrebbe perdere pure l’onorificenza che ebbe nel ‘75 da Leone) è chiuso in casa con Zangrillo, il medico personale, che già l’ha soccorso sul palco dell’Eur e oggi ha la disposizione di non perderlo di vista. I senatori di Forza Italia hanno ottenuto di anticipare il voto alle 17, in modo che Berlusconi possa tenere il comizio in contemporanea ed evitare l’assideramento dei sostenitori saliti dal Sud. Uno di loro si spoglia nudo sotto il portone, dice che non lo pagano da 14 mesi, spera nell’aiuto di Silvio. Malinconici video ricordano il tempo in cui non aveva ancora i capelli ma incontrava tre generazioni di Grandi della terra, da Mitterrand a Sarkozy, da Clinton a Obama, ora passando in rassegna truppe sulla Piazza Rossa, ora parlando in un discreto inglese al Congresso americano («e voi scrivevate che non sapeva le lingue, a li mortacci vostra!» maledice un militante in romanesco).
A Palazzo Madama è in corso una gara a chi evoca perseguitati celebri, vinta dal senatore D’Anna: «Berlusconi come Nelson Mandela non sarà cancellato dalla storia politica del suo Paese…». Molto citate anche la Germania nazista, la Russia di Stalin, la Cina di Mao, i golpe sudamericani. Bondi e la sua fidanzata, seduti fianco a fianco, prendono la parola a turno, inveendo contro la sinistra e gli alfaniani: quando parla lei, lui la guarda a bocca socchiusa, praticamente in estasi come la santa Teresa del Bernini. Rubbia gira per i corridoi solo e spaesato, Piano va a pranzo con amici. Gasparri: «Come architetto, chapeau; come politico, può lustrarci le scarpe, che sono impolverate». Sul maxischermo Berlusconi ora sta parlando all’Onu e promette di sfamare i popoli africani.
Finalmente il Cavaliere si manifesta alla piazza di persona. Il confronto con i video d’epoca è impietoso, ma la forma è decisamente migliore rispetto all’altro sabato. La scissione è alle spalle: «Noi non tradiremo mai i nostri elettori» sorride tra i buu e i cori della piazza («traditori!»). E ancora: «Oggi è un giorno di lutto per la democrazia». Napolitano non viene mai nominato, ma la sua rielezione, è il sottinteso, è stata un errore: «Torneremo al governo e faremo scegliere dal popolo il presidente della Repubblica!». Poi Berlusconi rientra rapido a Palazzo. La Pascale riconoscente gli bacia la mano.
D’un colpo sembrano tutti più vecchi, anche i commentatori tv che da vent’anni discettano del Cavaliere e ora come per scaramanzia avvisano i telespettatori che non è finito nulla, che l’ordine antico fondato sull’amore e sull’odio per Silvio continua, non si chiamano forse «forza Silvio» i club (Berlusconi dice «clob») che stanno nascendo in tutta Italia? E in effetti sarà nelle urne, se mai verrà, l’autentica sconfitta dell’uomo che da vent’anni definisce il bipolarismo: con lui o contro di lui. Il premier Letta batte un colpo e convoca una conferenza stampa per ripetere ancora una volta che il suo governo è più forte: i numeri per la legge di Stabilità ci sono, quelli per la decadenza di Berlusconi saranno ancora più larghi; e poco importa se sono due maggioranze diverse, la prima con Alfano, la seconda con Grillo.
L’imbarazzo dei transfughi dell’ex Popolo della libertà è evidente. Giovanardi prende la parola a ripetizione, per raccontare storie di perseguitati della giustizia, tratte dal suo libro. Formigoni è ormai indistinguibile dall’imitazione che ne fa Crozza. Il nuovo capogruppo Sacconi prova a ragionare: «Berlusconi non ha alcun interesse a una crisi che sarebbe un drammatico salto nel buio. Se questo governo cadesse senza aver fatto le riforme istituzionali, la Seconda Repubblica morirebbe nel discredito e sarebbe condannata alla damnatio memoriae. A quel punto sì che Berlusconi sarebbe travolto». Ma l’operazione politica del nuovo centrodestra rimane debole, la linea di frattura è troppo evidente: chi sta al governo vuole restarci; chi è fuori va all’opposizione. Gli scissionisti hanno scommesso tutto sulla tenuta di Letta, non a caso Sacconi dice che «Renzi è il peggio del peggio. Mi ricorda il cinismo di Martelli, che però era colto». La Mussolini ha buon gioco a maramaldeggiare su Alfano, che chiama Lino perché «di Angelino non ha proprio nulla, è un piranha, è come Fini», per lei l’insulto peggiore. Sotto Palazzo Grazioli si vedono cartelli da ridotto della Valtellina: «W la morte! Per i traditori non decade mai». Un altro dice: «E’ un colpo di Stato». La polizia lo rimuove, la Santanché e Capezzone protestano. Il temuto popolo viola non si vede, ci sono più telecamere che antiberlusconiani.
Al Senato la Bernini, vestita a lutto, con sprezzo del ridicolo parafrasa Brecht: «Prima vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e rimasi zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali…». Le mozioni di Forza Italia si infrangono contro il muro di voti della sinistra e dei grillini, per una volta uniti, come vagheggiava Bersani mentre metà partito già lavorava alle larghe intese, da oggi molto più ristrette. E’ ancora Bondi ad annunciare che la battaglia è perduta: «Mi rivolgo ai colleghi per dire che ammiro il rigore, la passione, la generosità e la sofferenza che mettono nella difesa dei principi della democrazia. Purtroppo non serve a nulla, non serve, hanno già deciso, insieme al presidente, l’espulsione di Berlusconi». Gasparri: «E comunque il progetto di Piano per l’Auditorium di Roma era sbagliato…». Ultima beffa: al Cavaliere subentra un cardiologo di Isernia, tale Ulisse Di Giacomo. Aderirà al gruppo di Alfano.
Aldo Cazzullo


Related Articles

Chi ride con quelle barzellette

Loading

E ogni volta, colpiti dalla scurrilità  che è simpatia andata a male, dalla fuga nell’oscenità  persino mimata che è la cifra degli spettacoli prolungati oltre la fine, abbiamo pensato che peggio di lui ci sono quelli che ridono.

Cittadinanza, l’Italia che non c’è in Parlamento

Loading

Un anno fa, era il 13 ottobre 2015, la Camera licenziò la proposta di riforma della legge sulla cittadinanza. Non è accaduto nulla, nemmeno è cominciata la discussione alla Commissione Affari Costituzionali

Scandalo Pedofilia nel Clero Non È giusto Ignorare le Assoluzioni

Loading

C’è dell’ingiustizia nel modo in cui i media trattano lo scandalo della pedofilia del clero, che è cosa gravissima e che giustamente viene seguito con attenzione, ma che non giustifica sbilanciamenti informativi come quello dei giorni scorsi: è passata quasi sotto silenzio — in Italia solo una manciata di quotidiani ne hanno parlato — l’archiviazione negli Usa di un’accusa clamorosa e strumentale che due anni addietro aveva ottenuto un’eco mondiale e qui da noi era finita sulle prime pagine di tutti i quotidiani del 26 marzo 2010.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment