La proposta Letta non è il reddito minimo garantito

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È un caso? Quanto costa a questi due Paesi non garantire una dignità ai cittadini e alle cittadine che risiedono nei loro confini? Quanto spendono i Paesi per contrastare l’esclusione sociale e la povertà? Sicuramente non abbastanza. Non è un caso, infatti, che sin dal ’92 l’Europa ha richiamato il nostro Paese per non essersi dotata di questo strumento.
Quasi ad anteporsi a una classe politica che ormai sembra non essere più in grado di leggere la realtà che viviamo sulla nostra pelle, il tema del reddito è molto sentito nella società. E non solo nei salotti degli addetti ai lavori: con sfumature diverse, il tema è al centro dell’attenzione più o meno di tutti e tutte. Un grande lavoro in questo senso è stato fatto durante la campagna per la proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre un reddito minimo garantito che ci ha portato a raccogliere oltre 60 mila firme in tutto il Paese. La campagna è stata anche l’occasione per sensibilizzare ulteriormente i nostri concittadini e le nostre concittadine sulla necessità di unirci per prendere parola in merito e a confermarci, semmai ce ne fosse stato bisogno, che non possiamo più aspettare, che in Italia è necessario ed urgente l’introduzione di un sostegno al reddito per contrastare la povertà, arginare il lavoro nero e liberarci dalla ricattabilità. Sì, perché senza un reddito siamo ricattabili e non siamo padroni delle nostre vite: non possiamo orientarle nella direzione che più desideriamo, siamo invisibili e schiavi di un sistema che ci porta a occuparci della mera sopravvivenza. Le nostre vite non sono libere e, quindi, neanche noi.
Negli scorsi mesi, in seguito alla raccolta firme, sono state depositate ben tre proposte di legge per introdurre nel nostro Paese un sostegno al reddito da parte di Sel, Pd e M5S: tre proposte di legge differenti perché ancora una volta la nostra miope classe politica ha perso l’occasione di poter creare un intergruppo, anche ascoltando i promotori della campagna, per poter stendere una unica proposta di legge e introdurre questo prezioso strumento. Per questo motivo negli scorsi giorni il Bin – Basic Income Network – ha lanciato un appello per «una larga intesa in favore del reddito minimo garantito», che occorre sostenere e rilanciare. Pretendiamo che la classe politica che siede in Parlamento ci dia una chiara risposta in merito, che si metta a lavorare seriamente per una sola proposta d legge da discutere e conseguentemente da approvare. Non vogliamo più sentire che non ci sono i soldi per finanziare il reddito: autorevoli studi dimostrano che i soldi ci sono e che il nostro governo sceglie come investirli.
Cara politica, cari politici, non ci sono scorciatoie o sotterfugi: non è più il momento della retorica e dei bei discorsi. Vogliamo un reddito. Ed ecco perché rischia di essere una goccia in mezzo al mare il maxiemendamento alla legge di stabilità che verrà votato nelle prossime ore e che tra le altre cose propone un finanziamento di 120 milioni di euro in tre anni recuperato dalle cosiddette pensioni d’oro, a fronte dei 7 miliardi che servirebbero, volto a introdurre il Sia (Sostegno per l’inclusione attiva), proposta da un gruppo di studio del ministero del Lavoro e delle politiche sociali lo scorso giugno. Il Sia avrebbe come intento di sostenere e integrare il reddito delle famiglie che vivono sotto la soglia di povertà assoluta, fissata sui 600 euro a persona dall’Istat, a fronte di un patto d’inserimento con i beneficiari del reddito. Non la vediamo come una prova di reddito, contrariamente a quanto titolano molti giornali a poche ore dal voto: vediamo questa proposta totalmente insufficiente. L’amministrazione della res publica riguarda in primis le nostre vite e per questo pretendiamo i nostri diritti. Pretendiamo un reddito minimo garantito.
* PrecariaMente


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