Il principio di realtà

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Immaginate di guardare un tavolo di fronte a voi e di chiudere gli occhi. Nessun pensa che il tavolo scompaia perché non lo vedete.
Immaginate che sul tavolo sia posato un grande vassoio. Il tavolo non scompare sotto il vassoio che lo nasconde.
Le cose sono reali, stanno nel mondo, indipendentemente da noi. Questo è il realismo ingenuo. Se ci fermassimo qui, basterebbero i fisici per descrivere il mondo, e la psicologia della percezione non esisterebbe. Immaginiamo però che un vecchio albero caschi nella foresta. Se nessuno è presente, la caduta dell’albero ha prodotto un suono oppure ha soltanto messo in moto delle onde nell’aria? Voi forse direte che ha provocato un suono, ma che nessuno l’ha sentito. E tuttavia, per parlare di un suono, ci vuole la presenza di una persona. Così come l’apparato visivo di alcuni tipi di rane non permette di vedere gli oggetti fermi, ma solo quelli in movimento, è il nostro apparato acustico che ci fa sentire il suono. Il suono quindi non dipende solo dalla caduta dell’albero. Niente apparato acustico umano, niente suono. Ecco che io, come psicologo, una volta introdotta la distinzione tra qualcosa che c’è, l’onda sonora, e ciò che noi percepiamo, il suono, ho qualcosa di cui occuparmi.
Andiamo ora indietro di 460 milioni di anni e immaginiamo un ostrascodermo, il più antico vertebrato, un pesce che viveva in fondo al mare, protetto da uno scudo osseo. Gli ostracodermi si sono estinti prima che gli esseri umani potessero vederli e descriverli. Se li conosciamo, è solo perché hanno lasciato tracce fossili. E dunque qualcosa di mai visto può essere stato reale.
Rileggiamo infine questo passo di Lolita di Vladimir Nabokov: «… e dopo non molto guidavo nella pioggerellina del giorno morente, coi tergicristalli in piena azione ma incapaci di tener testa alle mie lacrime». In questa fantasia gli effetti del nostro stato d’animo, le lacrime, si confondono con quello che succede nel mondo esterno (e la confusione può essere consapevole: c’è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo, dice Fabrizio De André). Siamo passati dall’esempio del tavolo, che esiste anche senza di noi, a qualcosa che c’è grazie a noi (il suono) e, infine, ai tentativi di piegare la descrizione del mondo secondo i dettami dei nostri stati d’animo.
Questo percorso è esplorato nel saggio di Maurizio Ferraris Realismo positivo, Rosenberg&Sellier, pagg. 122, euro 10) analizzando sei parole-chiave: le prime tre sono oggetti, invito e resistenza. Quando vediamo che la luna si muove nel cielo e va incontro a nubi apparentemente più grandi di lei, noi sappiamo che la luna è stabile nella volta celeste, ma la vediamo in movimento, pur non dubitando del fatto che sono solo le nuvole a spostarsi. L’oggetto luna resiste alle certezze astronomiche. E parimenti la pioggia per solito resta pioggia, e rifiuta di mescolarsi con le nostre lacrime (capita solo nei romanzi e nelle canzoni).
Gli oggetti, oltre a resistere ai nostri tentativi di trasformarli in forza di ciò che crediamo sapere, ci fanno anche degli inviti. La seduta di una sedia non si limita a reggere il nostro peso: la sua forma ci mostra la sua funzione e ci invita a sederci. Questo è l’aspetto positivo della realtà, il suo aiuto nel realizzare i nostri scopi e le nostre azioni. Di qui il titolo del saggio: realismo positivo, l’accettazione cioè di un mondo che c’era prima di noi ed esisterà dopo di noi. Il realismo positivo è il presupposto filosofico di una visione naturalista dell’esistenza.
Il mondo esterno ci vincola anche in quel che noi possiamo immaginare. Consideriamo, per esempio, il film Mary Poppins: lei vola con l’ombrello, ma l’ombrello deve essere aperto. Cammina su una scala di fumo, ma questa deve avere i gradini. Alcune cose insomma, si possono cambiare, altre sono immodificabili: la finzione, quinta parolachiave, è anch’essa vincolata e guidata da alcune caratteristiche del mondo reale. Se fate scomparire i gradini, scompare anche la scala, ma una scala può essere fatta di fumo, e una persona può volare grazie a un ombrello aperto (succede anche a Peter Sellers nel fantastico film Oltre il giardino).
Come ha osservato Robert Musil, nel quarto paragrafo de L’Uomo senza qualità: «È la realtà che suscita la possibilità, e nulla di errato come il negarlo… finché viene qualcuno per il quale una cosa reale non vale di più che una immaginaria ». Musil vuol dirci che la realtà vincola le possibilità (ultima parola-chiave), e predetermina tutti gli stati del mondo, reali o fantastici che siano. Ferraris pone le premesse per una filosofia che rispetta sia le scienze sia le nostre esperienze. A mio avviso, però, il saggio dice qualcosa di più, mostrandoci come il disprezzo dei fatti e la fiducia eccessiva nelle nostre opinioni (per noi spesso certezze), derivino dal concepire il mondo come modificabile e trasformabile a nostro piacimento. Questo eccesso di fiducia crea il “marketing delle scemenze”, secondo la felice espressione di Filippo Ceccarelli (Repubblica, 7-11-2013), ma purtroppo genera anche sciocchezze vere e proprie, se non violenze.
E veniamo infine ai critici di Ferraris. La discussione più articolata la dobbiamo a Franca D’Agostini (Realismo? Una questione non controversa, Bollati Boringiheri, 2013). D’Agostini sostiene che l’anti-realismo, almeno nei modi caricaturali di Ferraris, non esiste nella filosofia dei “professionisti”. Pur apprezzando il tentativo di divulgare nozioni classiche della filosofia, come realtà e verità, D’Agostini teme che questi concetti finiscano per essere banalizzati e confusi, ottenendo effetti controproducenti. A Ferraris è stato inoltre rimproverato di tracciare una contrapposizione grossolana tra fatti e interpretazioni. E, in effetti, tale dicotomia si scioglie in mille questioni di dettaglio, almeno nell’ambito delle scienze cognitive. Filosofi noti, come Carlo Sini, hanno fin da subito disprezzato il
Manifesto del nuovo realismo di Ferraris (Laterza 2012), inteso come una delle nuove forme di spettacolarizzazione superficiale, forse adatta ai vari festival di filosofia oggi in voga. Non sono un addetto ai lavori, ma suppongo che tale obiezione non sia superabile, se non accordandosi su quale sia il senso di questa disciplina nel mondo contemporaneo. Noto però che, fuori d’Italia, i saggi di Ferraris, tradotti in inglese, lo fanno apprezzare come un innovatore rispetto alla filosofia del continente (europeo), che ha sempre considerato la contrapposizione tra realismo e antirealismo un falso problema.
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IL LIBRO
Realismo positivo di Maurizio Ferraris (Rosenberg &Sellier pagg. 112 euro 10)


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