274 i cooperanti vittime di aggressioni in tutto il mondo nel 2012

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L’alto numero di rapimenti e assassini di cooperanti spaventa le organizzazioni internazionali e i loro collaboratori e mette seriamente in pericolo l’assistenza alla popolazione civile in tutte le aree di crisi del mondo, che si trovano oggi isolate anche per la fuga dei giornalisti (soprattutto per l’assenza delle condizioni minime di sicurezza per lavorare come dimostrano il caso del rapimento conclusosi bene di Domenico Quirico in Siria o quello tragico finito con la morte in Mali lo scorso 2 novembre di Ghislaine Dupont e del collega Claude Verlon) o il rapimento di chi per la pace si è speso senza tregua come padre Paolo dall’Oglio ancora ostaggio di qualche banda criminale in Siria dallo scorso agosto.

L’Associazione per i Popoli Minacciati(APM) ha voluto sottolineare come “A 64 anni dalla firma dell’articolo 4 della Convenzione di Ginevra (12 agosto 1949) che fissa la tutela dei cooperanti, le parti in conflitto in tutto il mondo continuano a non rispettare la neutralità di chi porta aiuti umanitari”. Dal 2000 ad oggi, infatti, il numero di casi di personale umanitario rapito, ferito o addirittura ucciso è passato dai 90 casi dell’inizio secolo agli oltre 240 della fine del decennio, con picchi di 290, con una percentuale preoccupante di casi mortali, visto che più di un terzo è stato ucciso. Le realtà più esposte sono chiaramente le ong internazionali che lavorano più o meno stabilmente in contesti di crisi e chedopoil 2001 hanno dovuto fare i conti con una situazione particolarmente complicata.

“Il rischio è ormai inerente a queste missioni” ha spiegato Pierre Salignon, direttore generale di Medecins du Monde, durante un incontro-dibattito dal titolo significativo: La cattività: il prezzo da pagare dell’umanitario?. “Dopo il 2001 tutto è diventato più complicato: gli attori sul terreno si sono moltiplicati, al pari delle forze di sicurezza mercenarie, e le crisi hanno sempre più spesso una natura politica e religiosa prevalente”. Il risultato? “È molto più complesso distinguere e spiegare il nostro ruolo al servizio della popolazione” e le conseguenze possono essere drammatiche, sia per gli operatori umanitari, che per le realtà nelle quali intervengono, che in caso di ritiro delle ong rimangono spesso senza alcun sostegno.In un contesto meno definito i cooperanti sono sempre più facilmente vittime di bande criminali che li rapiscono per estorcere ingenti somme di denaroai Governi di provenienza degli operatori umanitari e la situazione spesso “è resa ancora più difficile dalle autorità di diversi Paesi che ostacolano il lavoro delle organizzazioni umanitarie con lo scopo preciso di limitare l’assistenza alla popolazione civile nelle zone di crisi” ha concluso Salignon.

La Commissione statale sudanese per gli aiuti umanitari, per esempio, ha tentato in passato di proibire ai cooperanti internazionali l’accesso e il lavoro nei campi profughi del Darfur, espellendo arbitrariamente delle ong o limitando fortemente il loro lavoro. “Da oltre due anni le autorità sudanesi negano alle organizzazioni umanitarie l’accesso alla regione del Sud-Kordofanha dichiarato l’APM – dove decine di migliaia di persone hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria”. E come se non bastasse solo qualche giorno fa, il 23 ottobre, in Darfur è stato ucciso il direttore dell’organizzazione umanitaria sudanese Elsaqya, che si aggiunge alla lista delle vittime più recenti di rapimenti: sei collaboratori della Croce Rossa Internazionale (tre dei quali ancora nelle mani dei sequestratori) e un cooperante siriano, rilasciati dopo un sequestro lampo.

Ma le aggressioni ai cooperanti sono in crescita anche in Somalia, tant’è che dall’agosto 2013 Medici Senza Frontiere(MSF) ha deciso di lasciare il Paese poco dopo aver felicemente festeggiato il 18 luglio la liberazione di Montserrat Serra e Blanca Thiebaut, rapite il 13 ottobre 2011 nel campo profughi di Dadaab, in Kenya. Entrambe le operatrici umanitarie erano in buona salute, ma la liberazione delle due cooperanti è stata l’occasioneper MSF di tornare a“condannare i ripetuti attacchi contro gli operatori umanitari che forniscono assistenza medica alla popolazione somala più vulnerabile e in fuga da fame e conflitti”.

In Pakistan la situazione non è migliore. Nel gennaio del 2013 sette cooperanti che portavano avanti una campagna di vaccini per la popolazione sono stati uccisi e le ong che da tempo lavorano in Pakistan avvertono “che la situazione nel Paese non è mai stata tanto pericolosa come ora”. A farne le spese al momento è anche Giovanni Lo Porto, il cooperante italiano che lavorava presso la ong tedesca Welt Hunger Hilfe catturato il 19 gennaio 2012 con un collega tedesco nella località di Multan nel Punjab pakistano. Lo Porto, 38 anni, operava nell’ambito di un progetto che prevedeva la costruzione di alloggi per famiglie rimaste senza casa a causa di una violenta alluvione. Il suo rapimento non ha mai fatto notiziae non ha suscitato alcuna mobilitazione nel nostro Paese, tanto che a ricordare Lo Porto sono ormai solo le ong, che alcuni mesi fa hanno rivolto l’ennesimo appello al ministro degli Esteri Emma Bonino perché continui a cercare una soluzione al caso: “Ci rendiamo conto che agire nei territori in cui Giovanni, insieme al suo collega Bernd Muehlenbeck è stato rapito, è difficile, che le trattative richiedono tempo e delicatezza. Tuttavia, non possiamo dimenticare che mesi di prigionia pesano come un macigno nella vita di Giovanni, nell’angoscia della mamma, dei familiari, degli amici con cui siamo in contatto, e di tutti noi. Chiediamo al Governo italiano e a lei un impegno massimo, perché la sua famiglia e noi possiamo riabbracciare Giovanni presto e rivederlo al fianco di quella gente per cui lui si è sempre prodigato, persone che nel mondo sono le più colpite e vulnerabili, e spesso anche le più sole, proprio come è Giovanni in questo momento. Ora tocca a tutti noi fare qualcosa per lui”.

Per chi riconosce l’enorme importanza del lavoro della cooperazione internazionale allo sviluppo non rimane che partire dalle parole di Vittorio Arrigoni, quel “restiamo umani” utile a ricordarci la fortunata soluzione del rapimento di Francesco Azzarà in Darfur con Emergency, liberato il 17 dicembre 2011 dopo 124 giorni di prigionia, e di quella di Rossella Urru sequestrata per nove mesi dall’ottobre 2011 al luglio 2012 mentre era al lavoro nei campi profughi Saharawi dell’Algeria per conto del Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli (CISP). Ora, dopo quasi due anni, l’Italia aspetta Giovanni Lo Porto.

Alessandro Graziadei

 


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