Africa Ricchi di ingiustizie

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Un continente di 54 Stati dalle sterminate risorse naturali, tassi di crescita economica sostenuti, una popolazione giovane e prospettive molto promettenti in termini di investimenti nonostante crisi e conflitti aperti. Eppure un terzo del suo miliardo e 110 milioni di abitanti continua a vivere nella povertà, tra carestia, malattie e pochi servizi di base. Sono queste le due facce della stessa medaglia chiamata Africa. Per fare un esempio concreto: la Nigeria che sguazza nel petrolio, i succosi profitti realizzati dalle multinazionali straniere e i nigeriani costretti a rubare l’oro nero dagli oleodotti per procurarsi benzina, mettendo in pericolo la propria vita.
Parlano chiaro i dati del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca mondiale. Per il 2013 la crescita del Prodotto interno lordo (Pil) in Africa è stimata al 5,6% mentre gli investimenti diretti stranieri (+5,5% nel 2012) sono in costante aumento. Ma non basta per ridurre la fascia di popolazione che vive ancora nell’estrema povertà, cioè con meno di 1,25 dollaro al giorno. Quest’anno sono 400 milioni gli africani che non riescono a sbarcare il lunario. É in Africa sub sahariana che si concentra un terzo delle persone più povere al mondo, mentre 30 anni fa erano solo l’11%. Sorge spontanea la domanda: chi trae beneficio dalla ricchezza prodotta in Africa (basta citare il petrolio della Nigeria, l’uranio del Niger, i diamanti del Sudafrica, il coltan della Repubblica democratica del Congo e il cacao della Costa d’Avorio?
Innanzitutto le multinazionali straniere: quelle delle storiche potenze coloniali – tra cui le francesi Total e Areva -, dei pesi massimi dell’economia mondiale – Cina in primis – e delle potenze emergenti – quale l’India – che si sono accaparrate il ‘supermercato’ Africa nonostante la maggior parte dei paesi abbia conquistato l’indipendenza 50 anni fa. Così è stato coniato il termine di “neo-colonialismo economico”, esasperando tensioni sociali già sedimentate da un lungo dominio politico-culturale.
A guadagnarci sono anche i padri-padroni al potere da decenni in numerosi paesi, che hanno trasformato la loro presidenza in un vero e proprio regno basato su nepotismo, clientelismo e corruzione radicati ad ogni livello dello Stato. Paul Biya in Camerun, Denis Sassou Nguesso in Congo, Teodoro Obiang Nguema in Guinea equatoriale per non parlare delle famiglie Bongo, in Gabon, e Kabila in Repubblica democratica del Congo.
E poi ci sono loro, gli uomini d’affari miliardari: in Africa nell’ultimo decennio, come nel resto del mondo, i ricchi sono diventati più ricchi. Secondo l’ultima classifica stilata dalla rivista Forbes, nel 2003 erano soltanto due su tutto il continente, oggi sono una cinquantina, con un patrimonio totale di 103,8 miliardi di dollari. In testa c’è l’uomo d’affari nigeriano Aliko Dankote, che ha una fortuna di 20,8 miliardi di dollari, ben 8,8 miliardi in più rispetto al 2012.
Cresce l’economia, aumentano gli investimenti, i miliardari sono più numerosi, ma la povertà non diminuisce in modo significativo. É questa l’ingiusta equazione che la maggioranza vive sulla propria pelle; c’è chi direbbe lo “scandalo africano”.
Sulla scena continentale, per lo più nei centri urbani, si sta affacciando un nuovo protagonista: la classe media. In base allo studio Oxford Economics intitolato “Un continente luminoso: il futuro delle opportunità nelle città dell’Africa”, entro il 2030 la nuova frontiera del consumo di massa si localizzerà a Johannesburg, Il Cairo, Luanda, Lagos e Città del Capo.
Intanto la Banca mondiale ha evidenziato i rischi di una “crescita a due velocità” mentre l’Africa Progress Panel, presieduto da Kofi Annan, ha lanciato l’allarme per “le ineguaglianze stridenti e sempre più grandi tra la minoranza dei ricchi e la maggioranza dei poveri”, causando “un profondo malessere sociale” soprattutto tra i giovani africani che non trovano un lavoro e sono costretti ad emigrare.
Esperti africani ma non solo suggeriscono da tempo che basterebbe reinvestire le ricchezze nella sanità, l’istruzione e il lavoro, ma anche promuovere l’agricoltura in sistemi basati sulla giustizia, l’equità e il buon governo per portare l’Africa sulla strada della pace e dello sviluppo. Solo così, ne è convinto Annan, “le promesse che si aprono al continente e alle generazioni future non saranno vane”.
*Agenzia Misna


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