Rosso relativo

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La Cina si trova «allo stadio primario del socialismo e vi rimarrà a lungo». Una frase contenuta nel documento conclusivo del Plenum del Partito Comunista, sgombera il campo da possibili incomprensioni: le riforme che sono state decise e che nei prossimi giorni verranno ufficializzate, saranno di natura economica e non politica. Più mercato, meno stato, urbanizzazione, maggior accesso al credito da parte dei privati e un ulteriore potenziamento della figura del leader Xi Jinping sono le prime e immediate conclusioni al termine dell’incontro di quattro giorni del Comitato Centrale del Partito Comunista, che ha lanciato le linee guida per riforme «profonde » del gigante asiatico, i cui risultati dovranno cominciare a vedersi già dal 2020.

Si tratta della ideale prosecuzione di quelle riforme e aperture volute da Deng Xiaoping negli anni 80, che hanno finito per mutare per sempre il volto del paese. Da nazione a maggioranza rurale, la Cina negli ultimi dieci anni è cresciuta a ritmi vertiginosi, puntando tutto sul modello legato all’esportazione; oggi è la seconda economia del mondo, ha più cittadini che contadini e al rallentamento della propria crescita, ha deciso di ovviare attraverso ricette liberali, in grado di mutare ulteriormente la propria natura produttiva e sociale. Per quanto inserita in un contesto internazionale e globale, l’economia cinese è sempre stata caratterizzata da una forte presenza dello stato nei meccanismi economici e finanziari. Da oggi lo stato retrocederà sempre di più (non abbastanza secondo gli economisti liberali): a spingere sono i mercati internazionali, la crisi dell’Occidente e un modello che ha creato squilibri evidenti. Non ultimo un motivo tutto interno: l’emergere di un ceto medio che chiede spazio, accesso al credito e a settori fino a oggi contrassegnati dal monopolio statale. Xi Jinping, come Deng Xiaoping, non vuole lasciarsi però sfuggire di mano questo enorme cambiamento: riforme, meno potere allo stato, ma un ferreo controllo su tutto da parte del Partito, sempre più centrale nella vita politica ed economica del paese. Non è una novità che i politici cinesi si contraddistinguano per la loro lungimiranza e il Terzo Plenum appena concluso non ha costituito eccezione: l’obiettivo è andare a misurare la reale ed effettiva realizzazione delle riforme entro il 2020.

Più mercato e competizione a guidare l’andamento economico, significherà un necessario depotenziamento delle aziende di stato, con la conseguente liberalizzazione di settori chiave dell’economia; le due decisioni al momento più rilevanti, prevedono la creazione di team ad hoc dediti alle riformee alla sicurezza nazionale. Il primo gruppo di lavoro sarà composto da esperti e uomini scelti dal Presidente, per velocizzare la messa in opera della riforme. Il secondo, che prende il nome di Comitato di Sicurezza Nazionale (Guojia anquan weiyuanhui) dovrà invece unificare tutti i corpi di sicurezza con un occhio ai «pericoli interni» classici, Tibet, Xinjiang, e un particolare riguardo nei confronti della sicurezza informatica (con un chiaro riferimento alla possibilità di prevenire uno Snowden cinese). In entrambi i casi i due organi dovranno riferire direttamente a Xi Jinping, che almeno da queste prime indiscrezioni, esce ancora più rafforzato dal Plenum.

La terra e la questione fondiaria

I documenti specifici verranno rilasciati nei prossimi giorni, ma dopo il comunicato finale del Plenum è possibile intravedere in che direzioni hanno scelto di muoversi i leader cinesi. Il mercato avrà «un ruolo decisivo» nel prossimo sviluppo economico cinese perché «l’obiettivo generale delle riforme approvate è migliorare e sviluppare il socialismo con caratteristiche cinesi e portare avanti la modernizzazione delle capacità e del sistema di governo del Paese». Chi si aspettava un completo e totale abbandono del ruolo dello Stato è rimasto deluso, perché la Cina è ipotizzabile proceda come ha sempre fatto, con tentativi, sperimentazioni e dietrofront nel caso in cui non arrivino i risultati sperati.

Dare più spazio al mercato significa esplicitare concetti molto chiari, dal punto di vista della dirigenza cinese: più spazio ai privati e meno alle aziende di stato, per creare quel meccanismo virtuoso in grado di arrivare a due obiettivi precisi. In primo luogo dare linfa all’innovazione, unico strumento attraverso il quale la Cina può modificare il proprio impianto produttivo a bassa qualità, dall’altro consentire ai privati un accesso al credito più facile, in modo da sviluppare il mercato interno e i servizi che dovranno essere il traino del nuovo processo economico nazionale. Nel consueto linguaggio criptico, sono previste dunque «profonde riforme » in seno all’amministrazione per giungere ad un governo «basato sulla legge ed orientato al servizio » mentre «è imperativo costruire un sistema giudiziario socialista equo, efficiente ed autorevole».

Si esprime anche la necessità di «un moderno sistema finanziario», con una migliore gestione del bilancio statale e del fisco. Attenzione, come preannunciato, anche al settore agricolo, dove sarà permesso ai contadini di «partecipare equamente alla modernizzazione e condividerne i frutti». Saranno creati nuovi sistemi di imprenditoria agricola e ai contadini verranno concessi «più diritti di proprietà». Inoltre verrà promosso «un sano meccanismo di urbanizzazione». E proprio sul concetto di «urbanizzazione » e nelle questioni legate al mondo rurale si giocano le sfide più importanti per il futuro.

Ancora più sicurezza

Xi Jinping era atteso dal Plenum, per due motivi principali: confermare la propria leadership che sembra voler procedere solitaria e con un forte accentramento del potere e verificare la sua reale volontà riformista. Nei mesi che hanno preceduto il Plenum la figura di Xi è stata spesso accostata a quella di Mao, a causa di una ripresa delle retorica maoista, sotto forma di slogan come «la linea di massa» o il recupero della pratica delle «autocritiche ». In realtà, l’enfasi date alla riforme di natura storica e la creazione di un team dedicato alla loro applicazione, hanno ricordato molto di più il vecchio Deng Xiaoping.

Anche il riformatore per antonomasia della Cina contemporanea, spinse sulle riforme economiche, segnando un passaggio epocale del paese e si attrezzò con una squadra dedicata che aveva come compito specifico quello di velocizzare e dare gli input fatali alle modifiche. Analogamente la Cina ha provveduto a dotarsi di un comitato per la sicurezza nazionale, che ricorda molto da vicino il National Security Council americano: si tratta di un progetto che negli anni passati era già stato preannunciato da Jiang Zemin e poi abortito. All’epoca si ritenne poco cauto affidare a Jiang Zemin anche l’immenso potere del controllo della sicurezza; i tempi sono cambiati e Xi Jinping si è mosso come leader incontrastato all’interno del Partito, offuscando gli altri membri dell’Ufficio centrale del Politburo.


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