Euro e Merkel, non sono i soli colpevoli

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In questi cinque anni di crisi sono cresciuti vistosamente in tutta la Ue i movimenti politici anti-euro, spesso cavalcati da forze di destra, anche estrema, ma pure da intellettuali che si collocano nell’area della sinistra radicale. A questo risentimento si è associato, negli ultimi tre anni, quello contro Angela Merkel.
L’accusa al governo tedesco è di dettare la linea dell’austerity, a vantaggio della Germania e con il conseguente impoverimento dei paesi del Sud Europa. Ed è proprio in quest’area europea affacciata sul Mediterraneo che cresce vistosamente un vero e proprio rancore contro la Merkel e l’euro, come una coppia malefica, sadica, mai sazia del sangue alle popolazioni europee più povere, a cominciare dalla Grecia.
Nel biennio dolente, 2012/2013, ci sono state grandi manifestazioni popolari contro le politiche di austerity: dagli indignados in Spagna, occupanti Plaza del Sol per più di un mese, a quelle più cruente in Grecia (con morti e centinaia di feriti), a quelle meno eclatanti in Portogallo, Italia e, sia pure in tono minore, in Francia. Risultati? Zero. I governi delle “larghe intese” ormai prevalenti in quasi tutta l’Ue hanno continuato con ostinazione ad adottare ricette velenose capaci di produrre solo una prolungata recessione e di aumentare il rapporto debito/Pil.
Alle critiche e alle manifestazioni di protesta hanno risposto in coro: ce lo chiede l’Europa! Con questo ritornello non hanno fatto altro che accrescere la rabbia contro Bruxelles e fatto riemergere oscure forze nazionalistiche che potrebbero causare in breve tempo la fine della stessa Unione europea.
Ma, è proprio vero che l’euro e le politiche di austerity decise dalla Merkel sono la causa esclusiva dei nostri mali? Andiamo per ordine. Da quando i titoli di stato dei paesi del sud – Europa, e dell’Irlanda, sono entrati nell’occhio del ciclone della speculazione finanziaria, Bruxelles è intervenuta con forza, richiedendo – in cambio del sostegno finanziario – misure drastiche che vanno dal taglio alla spesa pubblica, ai dipendenti pubblici, accelerazione dei processi di privatizzazione, ecc. La Grecia è il paese che ha subito i tagli più feroci alla spesa pubblica e le politiche di austerity/privatizzazioni più draconiane, ma anche il paese a cui è stato accordato un “dono” di 137 miliardi di debito che è stato cancellato! Poco meno dolorose sono state le ricette europee per gli altri paesi – Spagna, Portogallo… – “aiutati”, con risultati ugualmente catastrofici.
Viceversa, l’Italia, che non ha chiesto aiuto a Bruxelles – unico merito di Monti – è stata sottoposta ad una sola clausola fondamentale: un tetto al deficit/Pil non superiore del 3% per quest’anno, da azzerare nei prossimi anni, fino ad arrivare ad una riduzione del rapporto debito/Pil del 60%. Attualmente è del 173% per la Grecia, del 134% per l’Italia, e decisamente più basso negli altri paesi del sud- Europa. Gli inviti a tagliare la spesa pubblica o a privatizzare fanno parte della moral suasion degli ideologici neoliberisti di Bruxelles, ma non costituiscono nessun diktat, come invece ci hanno raccontato finora i governi “tecnici”.
Ora, di fronte a questi vincoli la domanda è : possiamo restare sotto il tetto del 3% del rapporto deficit/Pil creando posti di lavoro e rendendo meno sperequata la nostra società ? In altre parole: chi ci impedisce di avere una seria patrimoniale, una progressività fiscale che colpisca il redditi medio-alti, un taglio netto alla spesa militare ed alle megaopere inutili e dannose che ci costano svariati miliardi ? La risposta è: nessuno ce lo impedisce. Come dimostrano diversi studi e proposte nel merito, come quella di Sbilanciamoci o il “Piano per il lavoro” del Prc, si possono creare centinaia di migliaia di posti di lavoro tagliando spese inutili e dannose, distribuendo diversamente il carico fiscale, restando dentro questa compatibilità del deficit al 3%. Cosa c’entra Bruxelles , l’arcigna Merkel , con tutto questo? Niente. Se i governi tecnici di Monti e Letta non hanno sostanzialmente modificato il carico fiscale, spostandone il peso sui ceti medio-alti, se non hanno voluto varare una patrimoniale, se hanno continuato a sprecare miliardi in opere inutili e dannose (a partire dal Tav), se hanno incrementato i finanziamenti alla spesa militare, è solo perché sono ideologicamente e materialmente legati alla borghesia finanziaria, parassitaria (e criminale), che gestisce il potere in questo paese. Se quest’anno, ancora una volta, non riusciamo a spendere i 6,7 miliardi di Fondi europei ( Fesr e Fse) utilizzandone, male, solo il 55%, se abbiamo un sistema di corruzione capillare che ci costa, secondo alcune stime, circa 60 miliardi di euro l’anno, se abbiamo una giustizia civile che è tra le più lente del mondo e rende incerto il diritto, non è certo perché l’ha deciso Frau Merkel. Per non parlare delle gravi infrazioni in cui siamo incorsi in merito alla tutela ambientale, sovraffollamento carceri, accoglienza immigrati, ecc., con ben 103 procedure aperte con tanto di multe che pesano sul bilancio statale, come hanno ben documentato su questo giornale Canetta e Milanesi.
In breve, possiamo ben dire che in Italia l’alibi europeo – ce lo chiede l’Europa! – ha funzionato per far passare politiche neoliberiste che hanno impoverito il paese, sotterrato il movimento sindacale, smantellato il welfare. In effetti, i nostri “tecnici” per fare della buona macelleria sociale sono stati molto bravi sul piano della comunicazione, riprendendo una tradizione radicata tra i politici meridionali : la colpa è sempre di Roma che non finanzia, che si mangia i soldi, mai loro! C’è sempre un nemico esterno che giustifica le nefandezze del potere che governa un paese o una regione. Non è un caso che i movimenti nazionalisti anti-euro siano spesso cavalcati dalle forze economiche più oscure dei singoli paesi. Forse è arrivato il momento di finirla, di dare al Cesare quel che di Cesare. L’Unione europea va rifondata, le politiche economiche radicalmente cambiate, ma non dimentichiamoci le responsabilità gravissime di chi sta governando questo paese da molto, troppo, tempo.


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