EUROPA 2100. Che tempo fa?

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Era l’estate di dieci anni fa. Chi poteva tentava disperatamente di trovare qualche ora di sonno, buttandosi in giardino. Chi il giardino non l’aveva, passava le notti alla finestra per cogliere qualche refolo d’aria. Intanto, il cuore stanco di decine di migliaia di anziani (diciottomila in Europa, quattromila in Italia) cedeva di schianto alla fatica di reggere il calore. L’afa del 2003 è stata un’interminabile tragedia al rallentatore. Per noi, però, che veniamo dal fresco ’900. Per i nostri nipoti sarà la norma, man mano che il secolo avanza: entro il 2100, il caldo record del 2003 sarà sistematicamente superato, un’estate sì e un’estate no. Il resto dell’anno non sarà molto meglio. L’autunno vedrà tornare spesso cicloni come quelli che hanno spazzato le coste dell’Europa occidentale il mese scorso. L’inverno sarà l’epoca delle piogge-lampo torrenziali, quasi una cascata, come quella di Copenhagen (150 millimetri d’acqua in due ore) del 2011. La primavera, il momento-clou delle grandi inondazioni, come quella del Danubio l’anno scorso. Perché non ci sono sorprese: il grande cambiamento del clima è già iniziato, il riscaldamento globale è già al lavoro e il suo effetto complessivo è far diventare routine quotidiana quello che, oggi, a noi pare ancora un evento estremo, eccezionale. Anche nella zona temperata che chiamiamo Europa. Haiyan, l’uragano che ha appena devastato le Filippine, è stato definito il ciclone più grande di sempre, ma non lo resterà a lungo: nel clima del futuro prossimo venturo, i megauragani dei tropici saranno sempre più frequenti. Ma “l’età degli estremi”, come uno studio Onu etichettò il mutamento climatico già in corso, non riguarda solo i remoti tropici. A disegnare lo scenario da incubo di casa nostra è un rapporto, Eventi meteo estremi in Europa, preparato dall’Easac, un gruppo di lavoro scelto dalle Accademie delle scienze di tutti i paesi della Ue, più Svizzera e Norvegia, per capire quale impatto può avere sul nostro continente l’effetto serra che il continuo accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera sta determinando a livello mondiale. È il primo
tentativo di fotografare a livello regionale i grandi mutamenti del clima che l’Onu (con i rapporti dell’Ipcc, come quello che sta uscendo in questi mesi) racconta a livello mondiale. E, di colpo, le indicazioni, un po’ generiche e remote, dell’Onu diventano palpabili e terribili. Perché per spaventarsi leggendo che la temperatura media del globo non deve aumentare più di 2 gradi, pena disastri, bisogna rifletterci un attimo. Due gradi è una media globale, che, per giunta, ingloba anche le più miti temperature dei mari. Che vogliono dire, quei due gradi, a livello europeo? La risposta dell’Easac mozza il fiato: tradotto in Europa significa che le temperature medie estive sul nostro continente potrebbero avere uno sbalzo anche di 6 gradi. Sei gradi, per capirsi, è la differenza fra 35 gradi all’ombra e 41. E ci andrebbe ancora bene. Se le conferenze sul clima, come quella in corso a Varsavia, continuassero a concludersi senza risultati e senza freni severi alle emissioni di anidride carbonica, i 2 gradi ce li possiamo scordare. La Iea, l’Agenzia internazionale per l’energia, non è certo un covo di ambientalisti, ma il suo ultimo rapporto calcola che, senza interventi decisi, l’aumento medio globale della temperatura sarà non di 2, ma di 3,6 gradi. E le temperature europee, allora, si muoverebbero non di 6 ma di 9-10 gradi. Improvvisamente, l’immagine un po’ oleografica con cui si presenta abitualmente il riscaldamento globale — la piantina morente sul terreno spaccato dal calore, chissà dove, chissà quando — viene sostituita da qualcosa di assai più vicino e nitido: il marciapiede sotto casa nostra, nel cui asfalto sempre più molle il tacco delle nostre scarpe affonda ogni giorno di più. In tutte le grandi città italiane il numero di giorni in cui la temperatura, incattivita dal cemento e dall’asfalto, supererà la soglia di rischio per la salute aumenterà drammaticamente, anche se, a livello mondiale, si restasse entro il limite dei 2 gradi. L’estate mediterranea, infatti, anche in quei limiti globali, avrà una temperatura media superiore di 4 o 5 gradi a quella di oggi. Soprattutto, le ondate di calore avranno picchi di 4-6 gradi superiori ai massimi attuali. Perché bisognerà imparare a ragionare in termini non di caldo stagionale, ma di ondate di calore. Le giornate roventi, infatti, si susseguiranno l’una all’altra. Nel 1990, i giorni in cui la temperatura non scendeva sotto i 35 gradi di giorno e sotto i 25 gradi di notte, erano il 5 per cento del totale. A fine secolo, saranno due su tre, 60 giorni su 90, fra giugno e agosto.
Pioverà anche di meno. D’estate. D’inverno, invece, pioverà di più e, soprattutto, male. Cioè con precipitazioni torrenziali, che non lasciano il tempo alla terra di assorbire l’acqua e rimpolpare le falde acquifere. Anche nelle regioni, come l’Europa meridionale, in cui, nel complesso dell’anno, sarà caduta meno pioggia. Il risultato sarà ballare costantemente sul filo del rischio inondazione. Le inondazioni epocali, quelle che, per capirci, si verificano una volta al secolo diventeranno assai più frequenti nel cuore d’Europa, fra Polonia, Germania, Austria, Svizzera, Francia e, naturalmente, Italia. Quanto più frequenti? Invece che ogni cent’anni, ogni cinquanta. Ma anche questa è una media. Le mappe dell’Easac dicono che le grandi inondazioni secolari, come quella del 1966 dell’Arno, potrebbero replicarsi ogni dieci-venti anni in Toscana e, lungo il Po, ogni ventitrenta anni.
Se il Mediterraneo rischia di essere destinato a friggere, anche il Nord Europa avrà i suoi problemi. Il rapporto calcola che le onde che un ciclone potrà scatenare sulle basse coste di Olanda, Germania e Danimarca, nella parte orientale del Mare del Nord, saranno anche di mezzo metro più alte. Gli scienziati prevedono che il numero di cicloni in realtà sarà minore, ma aumenteranno quelli più intensi, soprattutto sull’Europa centrale e nord occidentale. In termini di singolo evento, dicono le assicurazioni, queste tempeste di vento sono quelle che procurano più danni, paragonabili a quanto uragani, terremoti e inondazioni determinano in America e in Giappone. Sarà la fascia dalla Gran Bretagna alla Polonia quella che sarà più spesso colpita, come a ottobre, da venti fortissimi, fino a 180 chilometri l’ora. Quanto basta per classificare un ciclone di categoria 1. Come Sandy, l’uragano che, un anno fa, ha messo in ginocchio New York. A Varsavia, visto che sono lì, ci riflettano, i delegati alla conferenza sul clima.


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