I capi delle diplomazie a Ginevra A un passo dall’accordo con l’Iran

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Le attese del mondo per la firma già ieri di uno storico accordo sul nucleare iraniano sono state parzialmente deluse, smentendo le previsioni ottimistiche del ministro degli Esteri di Teheran Mohammad Zarif. Ma a Ginevra, dopo due giorni di fitti negoziati, ieri notte sembrava vicina l’intesa che per la prima volta da oltre un decennio aprirebbe la via a risultati concreti: la sospensione delle attività nucleari iraniane e il simmetrico annullamento delle sanzioni contro la Repubblica islamica. Obiettivi ancora lontani in realtà: oggi, se sarà oggi, ci arriverà solo a un accordo preliminare, una sorta di «test» con parziale congelamento del programma atomico di Teheran e parziale allentamento del blocco finanziario-economico imposto dalla comunità internazionale. Ma sarà, se sarà, un inizio cruciale. Anche perché raggiunto nonostante le fortissime opposizioni interne ai due fronti: i falchi iraniani, contrari a qualsiasi concessione da parte del nuovo presidente Hassan Rouhani, a cui viene dato merito dell’inedita disponibilità di Teheran; e storici alleati dell’Occidente come Israele e Arabia Saudita, affiancati da parte del Congresso Usa nel «no» ad accordi che non impongano l’immediato e assoluto stop al nucleare di Teheran. Soprattutto Israele ha messo in chiaro che un’intesa ad interim sarebbe un «errore storico»: lo Stato ebraico, ha detto il premier Benjamin Netanyahu, non si sentirà vincolato dall’accordo e «farà tutto il necessario per difendersi», alludendo a un possibile attacco preventivo. Nella notte Barack Obama lo ha chiamato, riaffermando la volontà Usa di «arrivare a una soluzione pacifica, di impedire all’Iran di arrivare all’atomica».
«Restano importanti differenze che speriamo di superare», ha messo in guardia ieri John Kerry, il segretario di Stato Usa che ha interrotto la missione in Medio Oriente per precipitarsi a Ginevra. Presenti anche i ministri degli Esteri francese Laurent Fabius, tedesco Guido Westerwelle e britannico William Hague, oltre a Catherine Ashton, capo della diplomazia Ue. E oggi arriverà pure il russo Sergei Lavrov seguito da un viceministro cinese. Ovvero la massima rappresentanza del «5+1», il gruppo formato nel 2006 dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu più la Germania per trattare sull’atomica con Teheran, rappresentata a Ginevra da Zarif.
Dalle delegazioni poco è trapelato, se non cauto ottimismo e qualche dettaglio su cui si lavora ancora tra ostacoli politici e tecnici. La richiesta dei «5+1» sarebbe un blocco di sei mesi al nucleare, difeso dall’Iran come civile ma sospettato di fini militari. In particolare lo stop riguarderebbe tre dossier: la costruzione del reattore ad acqua pesante di Arak, in grado di fornire plutonio con uranio non arricchito; le 19 mila centrifughe attive e la costruzione delle nuove «Ir-2»; le scorte di uranio al 20%. A fronte di concessioni da parte di Teheran in questi tre campi, i «5+1» scongelerebbero 50 miliardi di dollari, frutto soprattutto della vendita di petrolio iraniano, bloccati in banche mondiali. Le stime dei fondi a cui Teheran non può accedere variano dai 60 ai 100 miliardi, secondo le recenti dichiarazioni delle stesse autorità iraniane. Solo in Cina, primo acquirente di greggio, vi sarebbero 47 miliardi, 25 dei quali trasferiti da Teheran dalle più intransigenti banche europee tra il 2006 e il 2011. L’opacità dell’Iran, nonostante la nuova apertura, preoccupa molti in vista delle necessarie verifiche a cui la probabile intesa dovrà sottoporsi. Ed è per questo che lunedì arriverà a Teheran il capo dell’Agenzia atomica dell’Onu, Yukiya Amano. In passato l’Aiea aveva incontrato mille ostacoli alle sue ispezioni. L’accoglienza che troverà ora sarà un ulteriore test.
Cecilia Zecchinelli


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