In Europa l’anomalia italiana il Paese che non aggancia la ripresa

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ROMA — L’Italia sta perdendo il treno. Dopo più oltre due anni di recessione e una caduta dell’economia del nove per cento dal momento in cui Lehman Brothers fallì, qualcosa di nuovo sta accadendo alla terza economia dell’area con la moneta più forte del mondo. La zona euro, a cui questo paese appartiene orgogliosamente dal primo giorno del ‘99, dà segni di ripresa e crea posti di lavoro. L’Italia, per il momento, no.
L’infornata di annunci di fine mese sull’inflazione, la disoccupazione o le scelte delle agenzie di rating — accusate di scorrettezza solo quando dispiacciono — contiene un messaggio per chiunque presti attenzione. L’Europa, che era caduta a molte velocità diverse, si sta lentamente rimettendo in piedi in modi altrettanto difformi. Come la recessione non era stata uguale per tutti, neanche la ripresa lo è. L’Italia dal 2007 ad oggi ha vissuto un crollo del Pil secondo solo a quella della Grecia, ma per ora non mostra gli stessi segni di recupero ormai visibili ad occhio nudo in Francia, in Spagna, in Irlanda e persino in Portogallo. Non sta ripartendo
solo l’Europa tedesca. E quasi solo l’Italia dà quest’impressione di paralisi.
Lo segnalava già l’andamento del Pil, che qui e in Francia ha continuato a scendere fra luglio e settembre mentre la Spagna o il Portogallo registravano segni positivi. Ora però arrivano segnali anche sugli ultimi mesi dell’anno. A novembre l’inflazione media dell’area-euro si è ripresa un po’, salendo da 0,7% di ottobre a 0,9%. Sono livelli comunque minimi, prodotti dell’erosione dei salari a causa di una disoccupazione che deprime il potere d’acquisto delle famiglie e i prezzi dei beni in offerta. Ma l’Italia fa peggio e lo fa in controtendenza: anziché riprendersi leggermente come accade nel resto della zona euro, qui i prezzi continuano a retrocedere per il terzo mese di seguito. E il ritmo della caduta accelera. Malgrado l’aumento dell’Iva in autunno, a novembre il crollo sul mese prima è stato dello 0,4% contro lo 0,3% di settembre e ottobre. In dodici mesi l’inflazione arriva appena allo 0,6%. Poiché nel frattempo i depositi bancari sono cresciuti, dunque alcune famiglie risparmiano qualcosa, ciò significa che chi può spendere ha perso ogni fiducia nel futuro, mentre un numero crescente di persone non potrebbe spendere neppure se si fidasse. È un piano inclinato che può radicare nella psicologia degli italiani la deflazione e, con essa, la paralisi dei consumi e degli investimenti in previsione di prezzi sempre più bassi domani. Sarebbe il modo più certo di distruggere altri posti di lavoro.
In parte sta accadendo. I numeri pubblicati ieri da Eurostat mostrano un andamento a forbice. Per la prima volta da due anni e mezzo scende la disoccupazione media dell’area euro, benché di poco. Non è una vera ripresa. Eppure i senza lavoro scendono in Paesi che hanno ricevuto piani di salvataggio, Portogallo o Irlanda, e in altri che da anni covano una crisi latente come la Francia. Il responso sull’Italia invece è brutale, anche aldilà del record di giovani disoccupati. Le donne che lavorano nel Mezzogiorno, informa l’Istat, sono appena due milioni. I disoccupati sono il 20% più di un anno fa e ai massimi anche in ottobre quando, secondo il governo, doveva farsi sentire una ripresa pronunciata. Poi ci sono le agenzie rating. Ieri Standard & Poor’s ha declassato l’Olanda per il debito delle famiglie, ma ha migliorato il giudizio sulla Spagna e persino su Cipro perché crescono più — o decrescono meno — del previsto. Non ha migliorato invece sull’Italia, sulla quale resta una tendenza al declassamento a un passo dal grado “spazzatura”. La settimana prossima negli Stati Uniti, il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni sottolineerà i punti di forza del Paese: la base industriale ampia, il deficit più basso che altrove. E, certo, parte di questo vuoto d’aria al posto di una ripresa non è imputabile al governo. Non è colpa sua se le banche hanno bilanci così fragili che la stretta al credito continua da anni. Ma in Spagna il governo di Mariano Rajoy ha finanziato con quattro miliardi (il costo dell’Imu) una Borsa dei bond delle imprese per dar loro più fondi. In Francia, Germania e Gran Bretagna le leggi hanno favorito lo sviluppo di fondi di credito per surrogare le banche in crisi. In Italia si sono fatti annunci e convegni su questo, poi silenzio e immobilismo per molti mesi. Le amministrazioni pubbliche sembrano incapaci di cambiare passo, capirsi e cooperare fra loro, con esiti invalidanti. Si volevano pagare 27 miliardi di arretrati
alle imprese entro l’anno, ma siamo a dicembre e ne sono arrivati poco più della metà.
Questa inerzia dice che puntare sulla ripresa europea per risolvere i nostri problemi può essere sì la strategia del governo. Ma ha la logica di un uomo con un sacco di pietre in spalla, che spera che spiova

per poter correre più forte.


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