In piazza la parodia di una destra perduta

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 NON “Forza Italia” dunque ma “Senza Italia” è l’inno che solennizza, tanto per parodiare Stefan Zweig, la data storica, l’ora stellare e il minuto vertiginoso: le 17.43 del 27 novembre 2013: «Non lo dimenticherò mai». Dunque la Decadenza, l’avvenimento che tutto decide e tutto dispone, è subito parodia, ma più di Dita Von Teese, la regina del Burlesque, che di Napoleone, l’eroe sconfitto a Waterloo.
Anche via del Plebiscito è la caricatura di una piazza. Non è neppure un palcoscenico, ma è una ridotta, un foyer che sembra affollato anche quando non c’è pubblico come stasera. E infatti questo è il luogo che il fascismo riservava al parcheggio delle ambulanze (“lettighe” le chiamavano) durante le adunate (vere) nella vicinissima piazza Venezia.
Ed è parodia anche la gioia armata che Berlusconi esibisce subito: «il Senato è di sinistra» grida «e ha ordinato al tempo di fare freddo». E lo dice per sottolineare che è qui senza cappotto. Sa che le telecamere inquadreranno lui che sfida il gelo e poi, per contrasto, la folla tutta imbacuccata, con i colli incassati nei toraci: è un cartoon orrendo che dà la sensazione della patacca, della maschera di cera. L’ho guardato attentamente, con il vecchio binocolo del cronista,
e soprattutto quando è sceso e la sua devota fidanzata, che per tutto il tempo del comizio aveva inalberato il cartello «oggi decade la democrazia », gli ha baciato la mano. Ebbene, sotto il girocollo nero, si intravede qualcosa di molto aderente, non la maglia della salute ma una più efficace muta Mares da sub che è l’ultima grottesca trovata per parodiare Superman.
Gli slogan sono i soliti ed è stato anzi un po’ fiacco quando ha attaccato le istituzioni italiane soprattutto «la magistratura che soggioga il Parlamento». Sembrava una copia, sbiadita dalla carta carbone, della manifestazione di agosto, nello stesso posto e con la stessa gente. Mancavano solo le lacrime e il respiro che gli tagliava la gola. Erano identici anche i trucchi di regia del potente pretoriano Roberto Gasparotti (ancora quello della calza) che si sta applicando con passione a truccare come oleografie televisive le ultime cartucce del padrone. Dunque anche ieri sera la telecamera montata sul braccio mobile, — si chiama jimmy jib — si allontanava piano piano e, dando l’effetto di profondità, moltiplicava le teste della folla. Se fosse dipeso da lui, ieri sera Gasparotti avrebbe disposto un diluvio di fuochi d’artificio (finti) per illuminare il sublime istante dell’uomo dalla finta natura indomita.
Di sicuro questo exit di tricche e ballacche non ha precedenti e paragoni storici nazionali, né Cola di Rienzo né Machiavelli né Mussolini, né Craxi, non gli uomini delle Signorie e neppure i Cincinnato della storia romana: solo le sceneggiate dei caudilli sudamericani deposti, forse la corruzione di Mubarak e le amazzoni di Gheddafi. Insomma non c’è il codice italiano, non c’è l’Italia.
Ma la parodia più comica è quella dei Comitati di salute pubblica o forse dell’esercito della salvezza: «Faremo in tutta Italia i club che hanno voluto chiamarsi “Forza Silvio”, e mille saranno pronti già il prossimo otto dicembre, evviva ». È il carnevale dell’insurrezione: «saranno soldati», «saranno missionari», e anche questa è la smorfia del codice estremista. Fa appunto il verso alla rabbia degli antagonisti, dei no global, dei no tav, dei grillini. E infatti anche qui, a sorpresa, denunziano «la polizia che reprime
», e «hanno portato via un nostro manifesto con su scritto “colpo di stato”», e «hanno bloccato i pullman fuori Roma» e «ci boicottano » e «attenti ai provocatori» … sino al paragone tra magistratura e Brigate rosse. L’idea era ben fissata nei cartelli che alcuni sparuti manifestanti ieri tristemente inalberavano fin dal mattino, «Berlusconi è prigioniero politico delle Br», mentre da Palazzo Grazioli ogni tanto qualcuno spostava le tende bianche per guardare cosa accadeva nel budello e allora c’era sempre quello che gridava «eccolo, eccolo» e giurava di averlo visto e di avere pure visto sullo sfondo la donna che ama «che se ne stava lì con Dudù in braccio …». È un delirio di macchiette che vedono quello che vogliono vedere,
gridano al golpe ma fanno ciao alla telecamera, sono ancora una volta parodie, persino del mattoide Paolini. È un raduno di spennacchiati e di ex ministri, tutti sotto il palco: la Prestigiacomo, la Gelmini, Brunetta, la Santanché, Verdini, Capezzone, Mantovani paradossalmente sembravano persone normali abbracciati e baciati dai mostri di Dino Risi che, brandendo cellulari, volevano la foto con il semivip della politica.
Per me che ero presente nel giorno in cui Berlusconi esordì a Roma, al suo primo comizio nella capitale nel febbraio del 1994, «a portare — disse — la luce come gli elettricisti» e si muoveva sul palco imitando Frank Sinatra, il paragone tra l’entrata e l’uscita di scena è obbligato, imposto dalla memoria. Ebbene, quel che mi colpisce non è la decadenza sua, ma del suo mondo. L’Italia con la cravatta è scappata via, al posto di quel vigoroso terriccio vegetale di commercianti, professori, industriali, viaggiatori di commercio, avvocati, ufficiali e magi-strati, qui ci sono solo le caricature che, certo, sono tipiche dei comizi, di tutti i comizi: c’è quello che si spoglia, una è vestita da fuoco, e viene avanti una signora avvolta in tre bandiere … insomma sono i soliti mattoidi italiani. Ma il punto è che qui ci sono solo loro, niente più lettori di libri, sono andati altrove gli uomini in completo di Brooks che passavano un mese al mare, prenotavano la settimana bianca, rispettavano il matrimonio, arrossivano quando li scoprivano con l’amante, quelli che vestivano all’inglese o alla marinara e portavano i colori del reggimento della Fininvest come medaglie (la cravatta, le nacchere, la coccarda…).
Ecco, è questa la vera decadenza, oggi l’Italia di Berlusconi è l’Italia degli avanzi, residuale, una specie di lumpenborghesia marginale come i falchetti — pappagalli che neppure si mobilitano per lui, sono solo un fenomeno di casting, non simboli della rigenerazione ma della degenerazione.
D’altra parte, nonostante i giornali di Berlusconi celebrino appunto il momento fatale qui la caduta di Bisanzio è una miserabile condanna per frode fiscale confermata dalla Cassazione, Wellington è nientemeno il giudice “Vabbuò chillo nun poteva nun sapere”, e fa ridere Brunetta nel ruolo di Dostoevskij “l’hanno strappato al sonno di notte, clangore di sciabole nelle casematte” e la Santanché è ancora e sempre parodia della Marsigliese, la sua nuova Forza Italia che ricomincia da oggi fa la smorfia al calendario della rivoluzione francese quando i mesi divennero Brumaio, Ventoso …. Ecco, nella riforma del calendario della Santanché, il novembre della Decadenza diventerà il Ricomincioso.


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