LA FARSA DELLE TASSE

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 Ma il tutto suscita anche parecchia rabbia e non soltanto per lo stato di continua incertezza nel quale si tengono così milioni di contribuenti. Quel che più infastidisce è che proprio il passare del tempo sta provando, aldilà di ogni ragionevole dubbio, quanto sia stata nociva e insensata la scelta di far nascere il governo Letta con l’handicap particolarmente oneroso di dover rinunciare a un gettito di quattro miliardi e mezzo nel quadro di un bilancio già di suo inficiato da tanti buchi emersi e sommersi.
Sarà anche che una simile tara genetica era un pedaggio inevitabile — visti gli ukase berlusconiani in materia — per poter dar vita al cosiddetto gabinetto delle larghe intese. Ma ciò non toglie che la decisione di cancellare l’Imu 2013 sulle prime case — tutte le prime case, anche quelle di contribuenti facoltosi — non ha soltanto creato quelle serie difficoltà di copertura che sono ancora sotto gli occhi di tutti. Il peggio è che questa scelta ha rovesciato la scala delle priorità economiche e fiscali ponendo in prima fila la tutela tributaria della rendita immobiliare. Il tutto in una fase congiunturale nella quale l’universo mondo — dal Fondo monetario all’Unione europea, da reputati economisti a persone di normale buon senso — raccomandava l’esigenza primaria di dare una spinta alla crescita agendo semmai sull’eccesso di carico fiscale che grava sui redditi da lavoro e da impresa.
La controprova dell’errore commesso l’ha appena offerta del resto la presentazione della Legge di stabilità, nella quale è pur prevista una sforbiciata al famigerato cuneo fiscale su salari e stipendi ma in una misura che suona socialmente e finanziariamente risibile. Tanto da assumere per occhi abbastanza disincantati l’aspetto di una foglia di fico politica nel tentativo, comunque malriuscito, di nascondere quanto ben più efficacemente si sarebbe potuto fare in materia non dovendosi arrampicare sugli specchi per trovare i quattro miliardi e mezzo da destinare alla follia del taglio Imu sulla prima casa.
Come non bastasse la vicenda ha assunto e sta ancora assumendo aspetti tragicomici per quanto riguarda le fonti di copertura immaginate per il mancato gettito. Già la prima rata di giugno (per un valore di circa due miliardi) è stata — si fa per dire — spesata con incassi così poco probabili da rendere indispensabile il ricorso a una cosiddetta «clausola di salvaguardia» ovvero a un decreto ministeriale che al bisogno provvederà ad alzare di un paio di punti le accise sui carburanti e gli anticipi d’imposta delle imprese. Altro bel colpo da assestare al settore produttivo del Paese in una fase tuttora di recessione.
Ora siamo punto e daccapo con la rata di dicembre. Anche in questo caso si intende provvedere al grosso del mancato gettito con un aumento degli anticipi d’imposta stavolta però sul versante finanziario di banche e assicurazioni.
Mancherebbero però all’appello circa 500 milioni. La prima trovata è stata quella di far rientrare nel rango dei pagatori anche quei fabbricati rurali e terreni agricoli che — in un sussulto di raziocinio fiscale almeno verso il settore economico tradizionalmente più fragile — erano stati esclusi dalla rata di giugno. Ora pare che sia in atto un ripensamento su questa logica perversa del colpire sempre e comunque il sistema produttivo. Afferma il ministro dell’Agricoltura Di Girolamo che i fabbricati rurali resteranno comunque esclusi, mentre per i terreni agricoli si vedrà al Consiglio dei ministri del prossimo martedì. Nel frattempo — a completezza dello stato confusionale del quadro — va soggiunto che il relatore della Legge di stabilità in Senato sponsorizza un emendamento che porterebbe di fatto alla rinascita della famigerata Federconsorzi con una dotazione — guarda un po’ — di ben 400 milioni.
Continua così fino alla prossima puntata la farsa che, grazie alla prepotenza di Berlusconi e alla remissività di Letta, ha trasformato l’affare Imu in un’incurabile tara genetica del governo cosiddetto di necessità. Farsa, tuttavia, che non fa più ridere nessuno.


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