La goccia di 12 miliardi sul debito

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Il primo effetto «potenziale» della discussione del consiglio dei ministri è quello di ampliare l’impatto della Legge di Stabilità di ulteriori 12 miliardi di euro per il 2014, di cui 6 per ridurre un debito pubblico di oltre 1.900 mld (avete letto bene), e 6 per ricapitalizzare la Cassa Depositi e Prestiti, mentre i risparmi di spesa, stimati in 32 mld di euro (spending review), superiori alle previsioni indicate nella Legge di Stabilità, saranno destinati alla riduzione delle tasse sul lavoro, dell’indebitamento e del debito. Con il consiglio dei ministri prende corpo il Documento economico e finanziario (Def), nel quale il governo si era impegnato a realizzare privatizzazioni per 30 mld di euro tra il 2014 e il 2015.
Per capire cosa celano le privatizzazioni (potenziali) è necessario fare un piccolo passo indietro rispetto alla «discussione proficua» (cit. Letta), più precisamente al provvedimento “Destinazione Italia”. In esso si declinava il piano sotteso alle privatizzazioni: attirare investimenti dall’estero, come quelli nazionali, per valorizzare le «società partecipate dallo Stato anche con la predisposizione di un piano di dismissioni».
Si assume che un «programma di privatizzazioni e dismissioni avrebbe numerosi vantaggi: a) lo sviluppo delle Società da privatizzare, attraverso l’acquisizione di nuovi capitali italiani ed esteri; b) l’ampliamento dell’azionariato mediante la quotazione in Borsa, che consenta anche una più ampia diffusione del capitale di rischio tra i risparmiatori e la crescita della capitalizzazione complessiva della Borsa italiana; c) l’ottenimento di risorse finanziarie da destinarsi alla riduzione del debito pubblico».I beneficiari dell’operazione sono gli investimenti diretti esteri. L’esperienza Telecom non ha insegnato molto, possiamo riporre qualche speranza nell’intraprendenza di Massimo Mucchetti circa la golden share.
Se in prima approssimazione i provvedimenti di Letta assomigliano tanto alle misure adottate per agganciare l’euro tra il 1992 e il 2000, in realtà c’è una differenza di fondo e forse di sostanza: Amato vedeva nella privatizzazione la via per fare politica industriale, sappiamo poi come è andata a finire; il programma di Letta è finalizzato alla sola riduzione del debito (6 mld) e dell’indebitamento, tra l’altro via investimenti diretti esteri.
Le principali società coinvolte sono la Sace, Grandi Stazioni, quote di Enav, Stm, Fincantieri, Cdp Reti e del gasdotto Tag. Anche l’Eni è interessata con l’annunciato del via libera all’operazione di cessione di un pacchetto del 3%, affiancato a un buyback che non farà scendere lo Stato sotto il 30% del capitale.
Relativamente al programma spending review del Commissario discusso dal consiglio dei ministri, è necessario sottolineare che (il programma) non risponde a nessun indirizzo di massima del parlamento, deteriorando il potere di controllo e indirizzo dello stesso. Visto che si parla di servizi pubblici, forse, sarebbe il caso di fare uno sforzo di democrazia parlamentare. Diversamente rimangono le intangibili indicazioni del ministro del Tesoro e del Commissario. Sicuramente persone per bene, ma pur sempre persone. Razionalizzare 32 mld di euro, via risparmi, razionalizzazione dei costi della spesa pubblica e riordino della spesa a favore dei cittadini (detrazioni ed altro), può essere un lavoro più importante delle persone coinvolte?
Se il governo adotta un criterio universale per controllare i costi della pubblica amministrazione il paese sarà migliore, anche se continuo a pensare che non serva un commissario ma dei ministri che lavorano bene per assolvere a questo compito. Tuttavia il principale problema della spesa pubblica italiana è relativo alla formazione della spesa futura, cioè spesa corrente e in conto capitale per i prossimi anni. Pensate ai progetti che oggi, a torto o ragione, consideriamo inappropriati o inutili con il sopraggiungere della crisi economica.
Sarebbe necessaria una spending review capace di ricontrattare i progetti di spesa pubblica (contratti privati) esistenti e futuri, con dei criteri di efficacia ed efficienza, differenziando tra spesa che produce reddito e spesa che produce rendita.
Speriamo che la forza delle idee di Keynes sia più forte della stupidità delle vittime delle idee di qualche economista defunto.


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