Le banche svizzere: via il segreto o conto da chiudere

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MILANO — Nella battaglia contro l’evasione, chi porta i capitali all’estero, in Svizzera o in altri paradisi fiscali, è ormai accerchiato. Lo sanno bene i connazionali che hanno i conti in una banca di Lugano o Zurigo (la stima è di depositi per 120-180 miliardi di euro): in questi giorni i correntisti italiani vengono contattati dagli istituti di credito elvetici che preannunciano l’arrivo di una lettera in cui sarà sottoposta loro la scelta di chiudere il conto o di uscire dall’anonimato.
Il modo di contattare i clienti può cambiare da banca a banca e anche in relazione al Paese di residenza del correntista. Infatti la Svizzera ha già chiuso un accordo fiscale con la Gran Bretagna e un altro con l’Austria. Mentre è in trattativa con gli Stati Uniti: secondo le stime ammonterebbero a circa 200 miliardi di dollari i conti intestati a cittadini americani che sfuggono al fisco Usa. Washington vuole i nomi e sta minacciando le banche svizzere di sanzioni in caso di mancata collaborazione. Ma sul piede di guerra è anche la Germania, così come la Francia o l’Italia. È cambiato il clima internazionale nei confronti dei paradisi fiscali, l’Ocse sta portando avanti una lotta serrata all’evasione: il segreto bancario è destinato a morire. La lotta al terrorismo e la necessità di seguire il denaro nei suoi movimenti da un lato, la crisi mondiale che ha spinto i Paesi a rivedere le proprie politiche di lotta all’evasione dall’altro, hanno portato a una forte pressione su tutti quei Paesi in cui è in vigore il segreto bancario. In Svizzera ha cominciato a venire meno da tempo, ma solo nel caso di attività criminali, come appunto terrorismo, crimine organizzato o riciclaggio di denaro. Ora siamo a una svolta perché, su pressione del Gruppo d’azione finanziaria internazionale e del G20, Berna è stata obbligata a elaborare una proposta di legge che introdurrà i reati fiscali qualificati come reati presupposto del reato di riciclaggio. Il rischio, in caso di mancato adeguamento del Paese entro il 2016, è l’inserimento nella black list con conseguente perdita di un’importante fascia di business. Le banche non hanno perso tempo e di fronte a questo aut aut hanno cominciato ad attrezzarsi e ad avvertire i propri clienti, illustrando il cambio in corso. Una volta approvata la legge, gli istituti di credito che manterranno i conti di evasori saranno perseguibili dalla procura svizzera.
Altra tappa importante è stata la firma, il 18 ottobre scorso, da parte del governo di Berna della convenzione sullo scambio spontaneo di informazioni tra autorità fiscali. Ma si tratta di una procedura lunga, perché la convenzione dovrà essere ratificata dal Parlamento elvetico e poi sottoposta, quasi sicuramente, a referendum. Gli esperti stimano che gli effetti concreti si vedranno nel giro di una decina d’anni perché necessita di ulteriori passaggi, come la definizione degli ambiti di applicazione con i diversi Stati. E non si sa quando toccherà agli accordi con l’Italia.
In attesa di un automatismo, i governi si muovono. Già nel 2011 la Gran Bretagna ha trovato un’intesa con la Svizzera: l’accordo Rubik. In cambio del mantenimento del segreto bancario per i clienti inglesi delle banche elvetiche, Londra ha ottenuto un’aliquota fiscale sui loro depositi. Ma questo «modello» sembra non soddisfare più il Tesoro britannico. L’Italia sta percorrendo un’altra strada, quella del voluntary disclosure , ovvero la possibilità di far rientrare capitali esteri illeciti frutto di evasione, senza sconti sulle imposte evase ma con la depenalizzazione. E ora che anche le banche svizzere stanno chiudendo le porte, la via d’uscita dell’auto-denuncia potrebbe diventare interessante.
Francesca Basso


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