Le mani dei privati sul Demanio

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ROMA — Privatizzare le porzioni di spiaggia occupate dagli stabilimenti. Allungare la durata delle concessioni, con rincaro del canone, sul tratto restante in cui si piazzano ombrelloni e sdraio. Questa è la proposta – inserita in uno dei 3 mila emendamenti alla legge di Stabilità depositati ieri in Senato – che il Pdl considera come «grande occasione per riqualificare le strutture turistiche italiane ». Ma che ha già scatenato un putiferio politico. «Misura impresentabile che offende la dignità del Paese», la definisce Ermete Realacci, deputato pd e presidente della commissione Ambiente della Camera. «Una cosa semplicemente schifosa», per Angelo Bonelli, presidente dei Verdi. «Siamo pronti alle barricate e a incatenarci al Parlamento», minaccia. «Critiche sgradevoli che scadono nell’invettiva e nel fondamentalismo», risponde a stretto giro Antonio D’Alì, senatore pdl e relatore della legge di Stabilità.
L’emendamento – sottoscritto dai senatori Gasparri, Romani, Chiavaroli, Bonfrisco – consentirebbe, secondo i calcoli del Pdl, di recuperare 4-5 miliardi di euro. Denari da utilizzare – assieme ad altre coperture (“rottamazione”condono delle cartelle esattoriali e metodo Consip esteso agli enti territoriali) – per rivalutare in modo pieno le pensioni fino a sei volte il minimo (circa tremila euro), esentare quasi tutte le prime case dalla nuova Tasi, irrobustire il taglio del cuneo fiscale. «Sia chiaro: si tratta di una stima molto prudenziale », spiega D’Alì. Il meccanismo previsto è duplice. Da una parte, la “sdemanializzazione”, orrendo termine per definire il passaggio dal demanio (indisponibile) al patrimonio disponibile delle aree “coperte”, dunque la parte di spiaggia oggi in concessione (perché dello Stato) su cui si sono edificate le strutture, gli stabilimenti (15 mila in 600 Comuni costieri per 30 mila concessioni totali). Dall’altra parte, prolungare le concessioni sulle aree “scoperte”, come arenili e ombreggi (ma il testo non indica di quanti anni), adeguando i canoni ai valori di mercato. «L’Europa non potrebbe contestarci. La direttiva Bolkestein vuole più concorrenza e noi gliela garantiamo », precisa D’Alì. In un secondo momento, le aree “sdemanializzate” sarebbero vendute, dunque privatizzate (anche se condonate perché frutto di abusi edilizi), con diritto di prelazione al concessionario. Mentre le concessioni verrebbero riassegnate «secondo i principi della concorrenza », dice il testo. Fermo restando il diritto di prelazione.
Già Tremonti nel 2005 e nel 2011 provò a fissare in cento anni la durata delle concessioni. In pratica, un “per sempre” accreditato a chi nel passato si era aggiudicato porzioni di costa italiana in modo assai discrezionale e senza gare pubbliche, per poi tramandarle di padre in figlio (specie prima del 1999, quando erano le Capitanerie ad assegnarle, ora tocca alle Regioni). Rutelli nel 2006 (governo Prodi) suggerì una durata più contenuta, 25 anni. Ma nessuna delle due proposte (90 e 25) è mai passata. Fino alla bacchettata dell’Europa, con la direttiva Bolkestein e l’obbligo di mettere a gara tutti i servizi pubblici derivanti da concessioni dello Stato. Monti è riuscito ad evitare l’infrazione, prolungando di 5 anni – fino al 2020 – il tempo per fare le gare (ma il Pdl in primis spingeva per 30 anni di proroga). Problema aperto. Come quello del canone (irrisorio). «Lo Stato ha incassato nel 2012 solo 102 milioni, ma i ricavi degli stabilimenti sono 2 miliardi ufficiali e almeno 10 totali, tenuto conto che non fanno scontrini», denuncia Bonelli.


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