Londra, il rigore sugli immigrati dall’Est Europa

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LONDRA — David Cameron dà fuoco alle polveri: vuole rendere la vita più difficile agli immigrati europei che non hanno certezza di lavoro e vuole ridiscutere la libertà di movimento delle persone nell’ambito Ue, vale a dire il pilastro sociale dell’Unione.
Con un articolo sul Financial Times di ieri («stiamo cambiando le regole in modo che chi arriva in questo Paese non possa aspettarsi di ottenere immediatamente sussidi di sostegno») e con un intervento alla Camera dei Comuni, il premier britannico, appoggiato dai suoi alleati liberaldemocratici e con i laburisti che gli danno dell’«ossessionato» ma che convergono sulla opportunità di un «nuovo sistema equo e trasparente», ha messo in chiaro che non intende cedere di una virgola su un tema sul quale si gioca la faccia. Le norme saranno inasprite (gli immigrati non avranno «aiuti» per i primi tre mesi e saranno prelevati e rimpatriati se sorpresi a mendicare o se privi di un tetto), in generale i cittadini europei perderanno il diritto al welfare se non avranno una fonte di reddito certa o se non saranno attivi nel cercarla.
Determinato nel tirare la corda con Bruxelles e con gli alleati continentali, David Cameron ha insistito sulla necessità «di siglare un nuovo accordo in ambito europeo che riconosca la libertà di movimento come un principio basilare della Ue ma non un principio assoluto». Allo stato dell’arte, nella visione di Downing Street, è solo il «detonatore» di migrazioni fuori controllo. Dunque non è più condivisibile e accettabile.
Non importa che questa sortita abbia provocato la sdegnata reazione del commissario Ue all’occupazione e agli affari sociali, Laszlo Andor, («il Regno Unito rischia di essere un paese sgradevole»). Londra lo sapeva benissimo. Piuttosto, ciò che al premier stava e sta a cuore è alzare l’asticella dello scontro cogliendo al volo l’occasione che gli si presenta davanti, ovvero la liberalizzazione degli ingressi di cittadini rumeni e bulgari a partire dal gennaio 2014, come previsto dall’intesa siglata nel 2007 al momento dell’adesione di Romania e Bulgaria alla Ue. I sondaggi hanno evidenziato un profondo malessere della popolazione e Cameron sfrutta la scia per allargare il dibattito e alzare i toni della polemica antieuropea.
Le previsioni sono alquanto incerte sul flusso di lavoratori previsto da Sofia e Bucarest: c’è chi dice che non saranno più di 8 mila all’anno (l’ambasciatore rumeno), chi ipotizza 13/15 mila (alcuni uffici governativi) e chi addirittura 300 mila entro il 2019 (il gruppo di pressione «UK migration watch»). Ma i numeri valgono fino a un certo punto, anche se l’onda polacca cominciata dal 2004 (600 mila arrivi) ha lasciato il segno. Quello che conta per il governo di sua maestà è sia disincentivare, sia punire le illegalità di chi sfrutta i migranti (gli imprenditori che assumono con salari al di sotto del minimo garantito o in nero pagheranno multe quadruplicate), sia avvertire l’Europa che uno dei capisaldi su cui è cresciuta l’Unione non è la bussola della politica sull’immigrazione.
Il pacchetto di provvedimenti è molto severo (c’è l’accesso al servizio sanitario nazionale garantito unicamente se accompagnato dal versamento di contributi e c’è la perdita dell’indennità di disoccupazione se non si è attivi nella ricerca di un impiego). Cameron sostiene che è in linea con le restrizioni in vigore in altre capitali europee (Parigi e Berlino secondo il Financial Times sono pronte ad allinearsi a Londra sulle posizioni più dure) e intende accelerarne l’approvazione nelle prossime settimane. Giusto per dare un segnale agli elettori e ai tory insoddisfatti, suggestionati dalla destra dello UKIP, l’Independence Party di Nigel Farage.
Ma al premier interessa anche aprire presto il tavolo con l’Europa. L’Unione è una gabbia che gli sta stretta. L’idea, in tema di immigrazione, è di riformulare il principio sulla libertà di movimento della forza lavoro. Cameron intenderebbe limitare la mobilità a coloro che dichiarano un reddito vicino a quello medio europeo e sono in grado di mantenersi. È la scommessa su cui punta la rincorsa verso un nuovo mandato a Downing Street. Appuntamento che sembra lontano (primavera 2015) ma la campagna elettorale è cominciata.
Fabio Cavalera


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