Ma l’Europa accelera sull’Unione bancaria

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BERLINO — L’Europa è alle prese con un «cambio di regime», con l’ingresso in una nuova fase secondo alcuni simile per rilevanza all’adozione dell’euro. Sta muovendo i primi passi l’Unione bancaria, novità dal titolo noioso ma che promette di rivoluzionare le economie dell’eurozona: renderà più facile ed efficiente l’accesso al credito e ridurrà il rischio che scoppino nuove catastrofi finanziarie. Ieri, durante un convegno nella capitale tedesca, il membro del direttivo della Banca centrale europea (Bce) Jörg Asmussen ne ha tracciato il futuro e ha sostenuto che i governi devono passare alla seconda fase della sua realizzazione, cioè al definire le linee di un meccanismo di risoluzione (salvataggio o fallimento) delle banche in difficoltà, «durante un Ecofin prima della fine dell’anno». Asmussen ha ricordato che tra ora e il prossimo ottobre la Bce condurrà il check-up delle maggiori 130 banche della zona euro. Alla fine, dal novembre 2014, dopo averne verificato lo stato di salute, si prenderà carico del cosiddetto Meccanismo di supervisione comune, cioè farà dal centro di Francoforte quello che ora fanno le singole banche centrali nazionali. A quel punto, però, avrà bisogno che in parallelo, o poche settimane dopo, sia in essere anche il secondo pilastro dell’Unione bancaria, il Meccanismo di risoluzione comune. Se un istituto di credito tra i 130 sarà trovato inadeguato a sostenere i rischi del fare banca (e ce ne saranno) dovrà essere costretto da un’entità europea a ricapitalizzarsi per potere rispondere ai momenti difficili, oppure a fondersi con un’altra banca, oppure ancora a chiudere i battenti. «Il Meccanismo di sorveglianza deve essere completato in fretta con un Meccanismo di risoluzione — ha detto Asmussen —. Dal momento che a causa delle elezioni europee ci sarà un’interruzione dei lavori dal prossimo maggio, affinché sia pronto per l’inizio del 2015 la politica deve trovare un accordo nell’Ecofin (il consiglio dei ministri finanziari, ndr) prima della fine dell’anno». Ci sono una serie di questioni da risolvere, ha aggiunto: soprattutto occorre individuare l’authority che avrà il privilegio di stabilire quale banca è fallita e quale va salvata e in che modo. «Voglio chiarire — ha detto — che questa autorità dovrà essere veloce nelle sue decisioni. Quindi non potrà essere il Consiglio dei ministri europei. Non potrà essere nemmeno la Bce, che già fa la supervisione: dobbiamo credere nella divisione del lavoro. Dovrà essere qualcosa che non comporti un cambiamento dei trattati europei perché non ce n’è il tempo». Quello che di solito è considerato il terzo pilastro dell’Unione bancaria, un sistema di assicurazione comune dei depositi (politicamente controverso), secondo Asmussen invece non è urgente, «può essere rinviato».
Nel corso del dibattito, Nicolas Veron, un economista del think-tank Bruegel, ha definito l’Unione bancaria un «regime change»: stringerà sempre di più i rapporti tra le economie dell’eurozona, aiuterà a renderle più simili. Soprattutto, dal convegno organizzato all’università Humboldt è emerso chiaramente che il sistema del credito in Europa sta cambiando pelle. Oltre ai passi fatti verso l’Unione bancaria, impensabili fino a un paio d’anni fa, le banche «hanno cambiato le loro pratiche di mercato» — ha spiegato Marco Mazzucchelli, membro del gruppo Liikanen, che ha studiato le riforme da introdurre nel sistema creditizio dopo la crisi: molte di esse si sono focalizzate, semplificate nella struttura, comunicano meglio, sono più trasparenti. «Siamo a un punto di svolta — dice Mazzucchelli —. Un caso Lehman in Europa non potrà succedere».
Danilo Taino


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