Nell’Italia avvelenata, un “fiume in piena” di indignazione

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Un segreto che, in realtà, tanto segreto non era: lo conoscevano le organizzazioni criminali che su quei veleni hanno fatto miliardi, così come gli industriali conniventi e, naturalmente, le istituzioni; ne erano più o meno consapevoli le persone del luogo che continuano ad ammalarsi e morire, lo conoscevano e lo conoscono i gruppi spontanei dei cittadini che, stanchi di subire in silenzio, hanno finalmente alzato la testa e il 16 novembre, come un “fiume in piena” (questo il nome del movimento organizzatore) hanno sfilato in 100mila per le strade di Napoli per stilare un programma di proposte e azioni concrete e dire finalmente, una volta per tutte, “no al biocidio” nella cosiddetta “Terra dei Fuochi”.

Ma cosa significa biocidio? Lo spiegano bene i due autori del coinvolgente libro-inchiesta “Il paese dei veleni (Biocidio, viaggio nell’Italia contaminata)”, Andreina Baccaro e Antonio Musella, che con il termine intendono il danneggiamento del Dna dei cittadini che vivono a ridosso dei mega-impianti produttivi e delle zone più inquinate d’Italia a causa dello smaltimento abusivo di rifiuti speciali. “Una mutazione genetica – scrivono – che ha causato la drastica riduzione, per gli italiani, delle aspettative di vita in salute, cioè gli anni che ci si può aspettare di vivere prima di essere colpiti da patologie cronico-degenerative”. Insomma, se pure il tenore di vita si è alzato e si vive di più, ci si ammala prima a causa delle condizioni ambientali. È il cosiddetto “virus del benessere”, radicato in tutte quelle terre avvelenate da incuria, sfruttamento indiscriminato, abuso e malaffare, che non si limitano al solo territorio campano ma che riguardano tutto il nostro paese: da Napoli a porto Marghera, da Taranto a Brescia, passando per il Lazio e la Sardegna con i suoi poligoni militari e raffinerie petrolchimiche.

“Sarebbe ora di smetterla di parlare di miracolo economico italiano e iniziare a parlare di disastro” affermano Baccaro e Musella, secondo cui il sistema economico italiano dal dopoguerra ad oggi si è fondato su un’industrializzazione malata, basata sull’azzeramento totale di qualsiasi vincolo ambientale e del rispetto della salute dei cittadini. A questo si aggiungono gli sversamenti abusivi nell’ambiente di rifiuti e fanghi di ogni tipo, il lato oscuro di questo miracolo italiano “che dietro la facciata del benessere e del lavoro per tutti, ha nascosto una realtà fatta di scorie e rifiuti tossici, di diossine e benzoapirene, piombo e arsenico”. Il tutto è frutto di un sistema ben collaudato, che vede l’intreccio indissolubile della criminalità organizzata con la politica, insieme all’omertà di una popolazione sotto il giogo del ricatto occupazionale e che può solo scegliere di quale morte morire.

Secondo i dati Ispra citati nell’inchiesta, in Italia i siti potenzialmente contaminati sono circa 15mila. Fra questi, oltre 3.400 sono stati dichiarati già contaminati. Se aggiungiamo gli oltre 1.500 siti minerari abbandonati censiti e le aree dei Siti d’Interesse Nazionale (Sin) si avrà in totale circa il 3% dell’intero territorio italiano e oltre 330mila ettari di aree a mare. Proprio i Sin sono le aree più gravemente inquinate e per le quali lo Stato italiano ritiene indispensabile la bonifica. In teoria.  Perché dal 1997, anno in cui sono stati istituiti, di siti ne sono stati bonificati soltanto due su 57 (Bolzano e Fidenza). Eppure, dalle casse dello Stato sono partiti milioni su milioni di euro, tutti finiti in studi e consulenze che non hanno portato a nulla.

“I disastri che abbiamo sotto gli occhi sono per larga parte opera dello Stato” denuncia Antonio Musella durante la presentazione (proprio alla Camera) della sua inchiesta. “Le bonifiche fatte in questi anni hanno avuto la supervisione del ministero dell’Ambiente, per mezzo di una sua società, la Sogesid. Purtroppo, però, sono diventate l’ennesimo affare su cui si annidano fenomeni di corruzione, di malgoverno e di imprenditoria deviata. Ammesso che si possa parlare di imprenditoria e non invece di vera e propria commistione con organizzazioni criminali”. Se a tutto questo aggiungiamo i processi che la maggior parte delle volte finiscono sempre senza colpevoli perché cadono in prescrizione, ne viene fuori un quadro quasi senza speranza.

Quasi, perché da un po’ di anni a questa parte qualcosa si sta muovendo. Un’ondata di rabbia e indignazione sta salendo pian piano dalla cittadinanza sofferente, così come da quei pochi scienziati che da tempo denunciano inascoltati i dati dei tumori in relazione ai territori martoriati da discariche e inceneritori, dai commercianti, allevatori e contadini stufi di produrre veleno, e da tutti i movimenti che il 16 novembre erano a Napoli e che stanno costruendo una grande rete giovane, apartitica e nonviolenta in tutte le regioni italiane, riunita nella coalizione “Stop biocidio”. Non si fermeranno, infatti, al semplice corteo, ma al contrario hanno una fitta lista di punti urgenti e concreti da perseguire, che vanno dalla maggiore trasparenza a bonifiche reali e monitorate, fino al rafforzamento delle leggi contro i reati ambientali e le ecomafie. E ancora, screening sanitari e cure, lo stop ai roghi e ai fanghi tossici, un piano gestione rifiuti e, ben sottolineato, il no alla militarizzazione dei territori avvelenati proposta dallo Stato.

“Le nostre armi sono la forza delle disperazione e dello sdegno. Della intelligenza e della volontà. Della partecipazione attiva e della speranza” scrive in una toccante letteradon Maurizio Patriciello, parroco di Caivano e punto di riferimento nelle battaglie per salute. Invita a non arrendersi, nonostante tutto: “La vittoria arriverà – continua – ne siamo convinti. Ne siamo certi. La vittoria arriverà quando ognuno di noi avrà dato il meglio di sé. Il nostro esempio civile e disinteressato, il nostro modo di vivere pulito e responsabile, farà arrossire il volto di chi, giunto ai posti di comando, non ha fatto – e ancora non fa – il suo dovere. Lo spingeremo a fare ciò che deve fare”.

Anna Toro

 


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