Piano bipartisan sui poveri redditi esenti fino a 12 mila euro

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ROMA — Niente tasse sotto i 12 mila euro: l’idea piace sia al Pd che al Pdl, che attraverso due diversi emendamenti alla Legge di stabilità chiedono di elevare a questo livello il tetto della quota esente (oggi è ferma a quota 8 mila per i lavoratori dipendenti e a 7 mila e 500 per i pensionati).
Nel mare magnum delle oltre tremila richieste di modifica al testo piovute sul tavolo della commissione Bilancio al Senato, ce ne sono due che arrivano da fronti opposti, ma vanno nella stessa direzione, fino a confluire in un perfetto accordo bipartisan. Al governo, però, non piacciono per niente.
Un emendamento ha come prima firmataria Cinzia Bonfrisco del Pdl, l’altro Giancarlo Sangalli del Pd: entrambi chiedono una rimodulazione del cuneo fiscale attraverso l’estensione della no tax area a tutti i soggetti che dichiarano un reddito lordo complessivo di 12 mila euro l’anno. Il costo previsto per tale operazione è stimato in 1,8 miliardi di euro, da coprire attraverso tagli alla spesa della pubblica amministrazione (con una spesa per consumi intermedi da bloccare al 70 per cento rispetto a quella sostenuta nel 2012).
Se i due testi dovessero trovare accoglienza, a beneficiare della esenzione sarebbero quasi 4 milioni e 700 mila contribuenti in più rispetto ai 7 milioni e mezzo attuali, per un totale di oltre 12 milioni. Un’elaborazione della Cgia di Mestre dimostra come i «risparmi» ottenibili da chi oggi supera l’attuale no tax area degli 8 mila euro andrebbero dai 454 euro non più versati da chi ne dichiara 9 mila, ai 1.410 richiesti a chi ne incassa 12.000. «L’innalzamento della no tax area per dipendenti e i pensionati fino alla soglia dei 12.000 euro è un provvedimento che va nella direzione giusta – dice il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi – lasciando più soldi in tasca ai redditi più bassi, è probabile che queste risorse vengano immediatamente spese. Peccato che dai benefici di questa misura resterebbero esclusi i lavoratori autonomi: 5 milioni e mezzo di soggetti particolarmente penalizzati dalla crisi economica».
Ma il governo non è dello stesso parere. La proposta «costa troppo» replica Stefano Fassina,
viceministro dell’Economia, che boccia gli emendamenti facendo notare come un aumento generico di un terzo della no tax area vada a beneficio anche dei redditi più elevati (che fino a tale quota non verserebbe tasse). «Le poche risorse che abbiamo a disposizione – commenta Fassina – le dirotterei piuttosto su quella parte di lavoratori e famiglie in maggiore difficoltà. Aumentare la no tax area vuol dire distribuirle anche a chi ha un milione l’anno. Non mi sembra una priorità».
Certo, va detto che nella Legge di Stabilità c’è poco che possa andare a vantaggio degli incapienti e dei pensionati poveri. Giusto la social card, finanziata con 250 milioni, e il Fondo per le politiche sociali, coperto con 300 milioni. Poca cosa, lo sa anche il governo, che attraverso il ministro al Lavoro Giovannini e la vice ministro Guerra, aveva avviato una commissione ad hoc per studiare un’integrazione al reddito per i profili più bassi. Ne era nata una proposta di sostegno che a regime metteva in bilancio un investimento da 7 miliardi. Non se ne è fatto nulla. Molto criticata per gli eccessivi costi anche la proposta del Movimento 5 stelle di un reddito di cittadinanza da 600 euro al mese. Emendamenti o no, restiamo l’unico paese in Europa, Grecia a parte, a non avere un piano contro la povertà.


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