Sette milioni di vittime nella guerra invisibile combattuta soprattutto tra le mura di casa

by Sergio Segio | 25 Novembre 2013 12:45

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Provate a immaginare un mondo cupo, dove il terrore non è qualcosa d’improvviso e occasionale ma ripetitivo, costante, ossessivo. Immaginate di vivere l’incubo di una violenza che non viene da «fuori», ma nasce e si consuma all’interno dei luoghi più familiari e rassicuranti. E spesso ha un volto noto, consueto, abituale. Immaginate una violenza che esplode senza preavviso, senza ragione. Provate a pensare cosa vuol dire avere costantemente paura, vivere una crescente insicurezza che si trasforma in ansia. E immaginate di perdere l’autostima, il senso della realtà, la capacità di definire quello che succede e dargli un significato. Provate a immaginare l’angoscia di un’esistenza parallela, opaca al mondo esterno; di provare vergogna per gli abusi subiti e custodire il segreto di violenze indicibili, perché il racconto può non essere creduto, oppure minimizzato e banalizzato proprio da quelle persone che dovrebbero rappresentare la vostra rete di protezione. Provate a vivere il senso d’impotenza, la depressione, la tachicardia, l’insonnia. E provate ad ascoltare il silenzio interno, l’ansia costante che si annida progressivamente nell’anima fino a diventare una presenza inquietante che rende impossibile ogni movimento, svuotando ogni possibilità di leggere la realtà per quella che è, senza riuscire a fronteggiarla e contrastarla. Provate a sentirti vuoti, stanchi, privi di obiettivi, presi in ostaggio da un nemico oscuro che vive sotto il vostro stesso tetto o nell’abitazione accanto.
ACCANTO A NOI
Per quanto possiate immaginare tutto questo, non sarà mai abbastanza. Perché l’orrore delle vittime della «guerra invisibile» che si consuma ogni giorno è inimmaginabile. Vittime che non sono poi lontane come si può credere. Sono accanto a noi, anche se non vediamo i segni delle ferite inferte nel profondo. Vittime di una violenza che si consuma prevalentemente tra le mura domestiche. Sono sette milioni le donne italiane che hanno subito violenza fisica o sessuale. Quasi una su tre. Ma è una stima approssimata per difetto, considerato che solo una minima parte dei reati arriva all’autorità giudiziaria. Basti pensare che le denunce per violenza sessuale rappresentano meno di un decimo degli abusi sessuali subiti dalle donne.
Un dramma invisibile e impalpabile, dalle forme nascoste e spesso difficili anche da contenere all’interno di perimetri giuridici certi. Almeno all’inizio, come quando si esprime sotto forma di una sottile e insidiosa pressione psicologica. Un’atmosfera di sopraffazione e di minaccia che si insedia poco alla volta nella quotidianità. E si riflette nella paura «di farlo arrabbiare», di deluderlo, di sentirsi «stupida» nel contraddirlo, facendosi carico della sua aggressività. Ed è solo il principio di un percorso che distrugge la vita.
Se pensate che gli autori delle violenze siano brutti, sporchi e (apparentemente) cattivi, vi sbagliate. Nel quotidiano hanno un comportamento socievole e seduttivo, ma giocano con le emozioni degli altri per ottenere il raggiungimento di controllo e potere. Si credono superiori, vogliono che gli altri li riconoscano come tali e hanno bisogno di una costante ammirazione e attenzione. Non cercano amore, di cui non conoscono il significato, ma rassicurazione nell’immagine idealizzata di loro stessi. Per questo è insopportabile che una donna li possa semplicemente criticare. E nel momento in cui una donna manifesta insofferenza, rifiuto oppure minaccia l’abbandono, esplodono in una rabbia devastante che può sfociare in qualsiasi cosa. Persino in omicidio. O femminicidio, come si dice oggi.
Sarebbe un errore immaginare che le donne che subiscono violenza siano persone deboli e predisposte a subire la loro condizione di vittime. Perché fragili lo diventano dopo. E spesso fino al punto di non saper riconoscere ciò che hanno subito. Le emozioni negative e i vissuti legati alla loro condizione sono talmente difficili da accettare che le spingono a non rivelare a nessuno quello che subiscono quotidianamente. Spesso a negarlo. Per questo raramente le vittime denunciano la violenza subita ma cercano di controllare il dolore, eliminandolo o minimizzando l’intensità di quello che provano.
La sofferenza più grande sta qui, nel rimanere immobili, senza capire come mai si è portate ad accettare una situazione che non può essere tollerata.
Si è spesso cercato di comprendere per quale motivo le donne che subiscono violenza in moltissimi casi non lo denunciano e non cercano aiuto. Ma più interessante è chiedersi per quale motivo i casi di violenza «sommersi» siano così «invisibili» al contesto familiare e ancor più sottaciuti dal contesto sociale che circonda le vittime. Si tratta d’ignoranza del fenomeno, o, invece, di una sorta di accettazione sociale, in particolare quando la violenza si consuma tra le mura domestiche?
Vi è tutta una seria di pregiudizi e stereotipi che spiega perché, nonostante la grande sofferenza che vivono, le donne impieghino molto tempo a cercare una via di fuga rispetto alla situazione in cui si trovano, tanto che alcune denunciano il compagno dopo molti anni di violenze.
ISOLAMENTO PROGRESSIVO
D’altronde la costellazione di ostacoli che si ritrovano davanti è difficile da superare e non tutte possiedono le risorse necessarie (non solo quelle economiche) per intraprendere un cambiamento da affrontare in solitudine. Perché nel frattempo, infatti, le donne si ritrovano sole e senza amici, avendo subito anche un progressivo isolamento dal contesto di relazioni affettive. E più il partner ha un’identità sociale forte e gode di considerazione, più è difficile uscire dalla condizione in cui sono prigioniere, perché di fronte al consenso sociale di cui gode l’uomo, non riescono a far coincidere l’immagine pubblica del partner con quella privata. Il favore di cui gode l’uoall’esterno, nell’ambiente in cui vive, mette costantemente in dubbio la condizione di vittima della donna, esponendola a ritorsioni e al rischio di un ulteriore isolamento sociale. L’emarginazione delle vittime è il miglior alleato dei violenti, e anche se è una guerra invisibile, voltarsi dall’altra parte costituisce una responsabilità da cui nessuno è immune. Vale la pena tenerlo presente perché prima che finiate di leggere queste parole, altre dieci don-ne subiranno violenza fisica o sessuale.

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