Una barriera ai confini con la Turchia per fermare i profughi siriani

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SOFIA. Nuovi minacciosi muri si alzano a guardia dei confini dell’Unione europea. Questa volta è la Bulgaria, sotto crescente pressione a causa dell’ondata di arrivi di rifugiati e richiedenti asilo – in fuga soprattutto dalle rovine della guerra civile siriana – a ricorrere a reti e fili spinati per «mettere in sicurezza» le proprie frontiere, divenute dal 2007 anche il limes esterno dell’Ue.
Da inizio 2013 sono quasi novemila i richiedenti asilo arrivati in territorio bulgaro, tutti o quasi dopo aver attraversato il confine che divide il paese balcanico dalla Turchia. Numeri molto al di sopra della capacità di gestione della Bulgaria, paese di dimensioni ridotte e capacità economiche limitate: secondo le stime del ministro degli Interni Tzvetlin Yovchev, il tetto massimo di accoglienza di Sofia si ferma infatti a cinquemila arrivi l’anno.
In un clima di tensione crescente, il governo bulgaro ha deciso nelle scorse settimane di affrontare la questione con una serie di misure d’emergenza. La più discussa: un muro (o «barriera tecnica», nel linguaggio asettico della burocrazia) lungo più di 30 chilometri nel tratto più difficile da pattugliare della frontiera, quello segnato da alture e fitti boschi intorno alla cittadina di Elhovo.
La costruzione del muro, una rete alta circa tre metri – ispirata a quella innalzata nel 2012 dal governo greco, sempre sul confine con la Turchia – dovrebbe cominciare nella seconda metà di novembre, ed essere terminata entro il febbraio 2014.
Secondo le dichiarazioni del governo di Sofia, la barriera non servirebbe però a respingere chi vuole attraversare il confine. «Non vogliamo rigettare i migranti, ma indirizzarli verso aree meno impervie e più controllabili. Vogliamo sapere chi entra sul nostro territorio, e cosa porta con se», ha dichiarato nelle scorse settimane il vice-ministro degli Interni Vasil Marinov.
Nel frattempo però, dopo lo spiegamento lungo il confine di 1200 agenti di rinforzo deciso lo scorso 9 novembre, nel giro di sole 24 ore sono stati respinte in Turchia almeno cento persone, dopo aver impedito loro fisicamente di attraversare la frontiera.
Insieme alle misure lungo il confine, sono state accelerate anche le procedure sulle richieste di asilo politico. Se fino a poco tempo fa per avere una risposta bisognava aspettare almeno cinque mesi, la polizia ha annunciato che ora l’obiettivo è quello chiudere le pratiche entro tre giorni, per poter poi procedere in fretta all’espulsione di chi non risponde ai criteri di rifugiato.
E mentre trincera le proprie frontiere esterne, la Bulgaria fa i conti ogni giorno di più con un clima di crescente tensione politica. Il paese si trova di fronte ad una questione delicata e del tutto nuova, e le istituzioni sono in evidente affanno. Secondo un recente sondaggio, il 62% dei cittadini ritiene che il governo di Sofia non sia affatto preparato a rispondere ai problemi creati dall’attuale emergenza.
Come già visto in altre parti del Vecchio continente, le formazioni nazionaliste e xenofobe tentano di cavalcare politicamente ansie e confusione, attizzando la paura nei confronti dell’altro. Particolarmente attiva in questo senso la formazione ultranazionalista «Ataka», decisiva oggi nel parlamento di Sofia per tenere in piedi con il suo supporto esterno il governo di centrosinistra del premier Plamen Oresharski.
Per la deputata di «Ataka» Magdalena Tasheva, portavoce delle frange più intolleranti, ad attraversare il confine bulgaro sarebbero «assassini di massa», «cannibali», «selvaggi», «scimmie miserevoli», arrivati nel paese per «stuprare e tagliare teste». Atteggiamento rimbalzato pericolosamente anche fuori dalle stanze della politica. In una recente trasferta, gli ultrà del «Levski» – squadra della capitale e club più titolato di Bulgaria – hanno esposto in curva striscioni come «Morte ai rifugiati» e «Scorrerà il sangue».
Una minaccia trasformatasi presto in tragica realtà. Nelle ultime settimane, una serie di brutali aggressioni ha visto come vittime stranieri. In una di queste, avvenuta nel pieno centro di Sofia, un uomo è stato picchiato a sangue da un gruppo di skinhead. Il malcapitato, si è scoperto in seguito, era in realtà un cittadino bulgaro: colpevole solo di avere la carnagione scura, e di passeggiare ignaro nei pressi di un albergo dove alloggiano richiedenti asilo.


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