UNIT 8200. Israele reparto cyberwar

by Sergio Segio | 10 Novembre 2013 8:02

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TEL AVIV. Hanno tra i 19 e i 23 anni, sono i cervelli più brillanti della gioventù israeliana e si trasformano nei migliori cyberwarriors del mondo. Per entrare nella Unit 8200 devono superare una selezione durissima alla fine delle scuole superiori. Per tre anni lavorano in un palazzo in una località segreta nella periferia di Tel Aviv. Poi potranno rivendersi le competenze acquisite e i software brevettati nel mercato civile, diventando in qualche caso milionari. La loro divisa è quella classica verde oliva, ma il loro reparto, oggi il più numeroso dell’esercito israeliano, è molto, molto speciale: non sono comandati da un “generale” qualsiasi, bensì da un “capo dipartimento per la preservazione della follia” (Head of the Department of the Law for Preserving Madness); il primo ordine che viene loro impartito è “state fuori dagli schemi”; un quinto dell’orario di servizio è libero, purché speso a pensare e inventare. Una disciplina
da Silicon Valley, certo non da caserma. Militari creativi, e parecchio.
Un tempo soltanto il fatto di nominarla in pubblico avrebbe potuto provocare l’arresto per rivelazione di segreto militare, ma adesso la Unit 8200 — quella che si occupa della guerra elettronica: è suo il virus Stuxnet che ha fatto impazzire il sistema informatico che gestisce le centrifughe proibite in Iran — ha superato i muri della censura, è diventato un marchio e attrae un numero crescente di giovani per le grandi opportunità che offre anche dopo la leva. Due volte a settimana duecento studenti delle scuole superiori — scelti per capacità — frequentano seminari in diverse zone del Paese per essere ammessi, dopo un’ulteriore scrematura, a un corso tenuto da ex ufficiali addetti alla cyberwar. Ma i diplomati in questi corsi non ottengono automaticamente l’ingresso nella Unit 8200. Devono superare ancora i test rigorosissimi che l’Idf (Israeli Defence Forces, l’esercito) impone agli aspiranti.
Se questi ragazzi rappresentano l’avanguardia di tutti i cyberwarriors del mondo è perché Israele è già dentro una cyberwar. Le sue reti governative sono tra le maggiormente attaccate, con aggressioni quotidiane che superano le decine di migliaia fino alle centomila nei periodi più caldi. Durante la guerra di Gaza, un anno fa, mentre i caccia israeliani bombardavano Hamas i tecnici informatici civili hanno respinto milioni di tentativi di attacco sui siti web governativi. «Una guerra invisibile ma che si avverte e si avvertirà sempre di più», dice il premier Benjamin Netanyahu quando parla degli attacchi che le reti civili subiscono ogni giorno, dalla El Al, la compagnia aerea di bandiera, alla Banca centrale, alla Borsa, ai sistemi di comunicazione da parte di hacker islamisti o per conto di governi stranieri. Negli anni, l’8200 è diventata la più grande unità dell’esercito israeliano, con diverse migliaia di militari impiegati. Ed è paragonabile nella sua funzione, e nella sua efficienza, alla Nsa americana. È divisa in due dipartimenti: la ricerca di nuove soluzioni informatiche da utilizzare in azione o in preparazione dei soldati e la raccolta di informazioni dalla sua base centrale nel deserto del Negev, dove si trova una delle più grandi stazioni di ascolto del mondo in grado di monitorare le chiamate telefoniche, le e-mail e altre comunicazioni in tutto il Medio Oriente, l’Europa, l’Asia e l’Africa, così come rilevare le rotte delle navi e le loro comunicazioni.
Il sistema di lavoro dei “creativi” è del tutto simile a quello delle grandi aziende informatiche come Google, Intel, Microsoft, Samsung, che non a caso hanno aperto grandi filiali in Israele in cerca di talenti. “Stay hungry, stay foolish”, prima di Steve Jobs l’avevano già pensato quelli dell’Idf. I due responsabili dell’unità non possono essere nominati per motivi di sicurezza, ma i loro titoli rivelano abbastanza. Il tenente-colonnello K. è Chief Technology Officer — un titolo che si trova solo nelle aziende hi-tech — e il comandante T. è il capo dipartimento per la preservazione della follia di cui sopra. È lui il responsabile dell’innovazione strategica del team. T. assicura che le idee del gruppo siano quelle giuste mentre K. si occupa del loro sviluppo e della loro esecuzione. «Ci sono casi in cui bisogna saper adottare rapidamente nuove tecnologie e ci sono casi in cui non ci sono e bisogna inventarle», spiega l’ufficiale K.: «In questo settore non c’è quasi nessuno che possiamo emulare, siamo i primi e quindi dobbiamo produrre innovazione da soli». A trecentosessanta gradi.
Davvero in pochi, per esempio, potrebbero collegare la divisa verde dell’esercito israeliano con l’ambiente della moda. Così come la maggior parte degli utenti di Stylit.com — un sito dove un personal stylist virtuale vi aiuta a scegliere i vestiti secondo il vostro gusto e budget, usato negli Usa dalle grandi griffe del prêt-à-porter — non sa di adoperare una tecnologia i cui algoritmi sono stati sviluppati per monitorare e prevenire attacchi kamikaze. Bene. Yaniv Nissim, l’inventore di Stylit, è un veterano della Unit 8200, uno di quelli che ha partecipato al programma che aiuta gli ex militari dell’unità a commercializzare le loro invenzioni sul mercato civile, un programma che ha generato più milionari in Israele delle scuole di Business Administration. Sono invenzioni israeliane l’istant messaging, la chiavetta Usb, i firewall e i collegamenti sicuri che consentono la maggior parte delle operazioni bancarie, così come la metà delle app dell’iPhone. Aziende israeliane leader in tutto il mondo come Nizza, Comverse, Check Point sono state create tutte da ex soldati della Unit 8200 su tecnologia sviluppata mentre erano arruolati. Nuove startup come Stylit sperano di emulare il successo di Waze, il navigatore social-network sviluppato da un ex cybersoldier e acquistato da Google due mesi fa per più di un miliardo di dollari. Grandi algoritmi sviluppati per prevenire attacchi nemici sono alla base di Any.Do, una delle applicazioni per smartphone più popolari del mondo, e Rompr, una app mobile attraverso la quale i genitori possono condividere informazioni sulle attività dei più piccoli, e non, della famiglia: l’amministratore delegato Noa Levy e le altre tre co-fondatrici hanno tutte servito nell’unità hi-tech dell’esercito israeliano.
Il colonnello Nir Lempert, ex vice-comandante dell’Unit 8200 e presidente dell’associazione dei suoi ex soldati, racconta come quei ragazzi siano addestrati a risolvere i problemi in team multidisciplinari, basati su metodi aziendali. Sono incoraggiati a pensare in modo diverso. «La missione centrale del gruppo è quella di salvare vite, prevenendo attacchi terroristici e di altro tipo», dice Lempert. «Insegniamo alla nostra gente che la missione è così importante che non c’è alcuna possibilità di fallimento». Perché «il cyberspazio », aggiunge Amos Yadlin, ex capo dei servizi segreti militari e ora rettore dell’Istituto di studi strategici di Herzliya, «concede a piccoli Stati e ai singoli individui un potere che finora era appannaggio solo delle superpotenze. La cyberwar ha la stessa portata innovativa che ebbe l’Aeronautica nelle guerre del XX Secolo».

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