I droni sono già un business ecco la scommessa dei magnati

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WASHINGTON. Siamo diventati senza accorgercene i Pronipoti di noi stessi. Dalle fantasie comiche dei Jetsons di Hanna e Barbera con la loro vecchia “colf” robot Rosie nel 1962 alla pioggia di pacchetti consegnati a domicilio dagli “ottocotteri”, i droni di Jeff Bezos per i clienti di amazon.com, l’automazione della nostra vita sta quotidianamente riducendo il ruolo e la funzione del «fattore umano».
Se l’idea lanciata seriamente da Bezos nella serissima trasmissione televisiva 60 Minutes pochi giorni or sono di affidare a droni, a velivoli autopilotati la consegna di oggetti fino a due chili di peso acquistati on line presso Amazon (l’86 per cento del loro traffico) può ancora sembrare più da cartoon che da realtà imminente, basti ricordare per tutte le profezia fatta da Timenel 1966. «Anche se la possibilità di fare acquisti a distanza è concreta, non accadrà mai, perché le donne — si noti, «le donne» — vogliono vedere, toccare, esaminare quello che acquistano e non accetteranno mai di comprare senza controllare la merce» scriveva solennemente un esperto.

Tra lunedì scorso 2 dicembre e la fine dell’anno, si calcola che 131 milioni di americani, pari alla popolazione di due Italie più un’Austria per buon peso acquisteranno beni, prodotti, servizi online.
La catena della consegna nel mostruoso impero di amazon. com e nei suoi giganteschi hangar dove gli addetti si muovono come robot umani controllati da Gps che ne seguono gli spostamenti, è ancora largamente legata all’anello debole della nuova società automatizzata. Dall’addetto che deve fisicamente individuare negli scaffali l’oggetto richiesto fino alla persona che guiderà il furgone per la consegna alla porta, il viaggio è affidato a esseri umani che sanno, come ogni essere umano, sbagliare. Chi ha atteso invano un ordine, o chi si è visto recapitare il libro o il pacco indirizzato ad altri sa che anche la migliore società di trasporti e consegne vale soltanto come il più distratto dei suoi dipendenti.
Ecco allora alzarsi nel cielo l’“ottottero”, l’elicottero con otto eliche che si libra, si ferma come un colibrì, cerca e cala infallibilmente all’indirizzo giusto guidato da altri robot e computer in orbita o nelle celle delle telecomunicazioni. Un’idea ancora lontana anni dall’applicazione pratica, fra aspetti tecnici e complicatissime regolamentazioni federali sul traffico aereo, ma non più avventurosa di quanto fosse, nel 1995, il lancio di una «libreria virtuale», senza un deposito e magazzini propri, che avrebbe raggiunto oggi 30 milioni di clienti e fatto di Bezos uno dei cinque uomini più ricchi del mondo.
Già oggi, nelle solitudini dell’Alaska polare, e nelle praterie interne degli Stati Uniti, versioni più modeste e meno letali dei «droni» armati che quotidianamente colpiscono con dubbia intelligenza villaggi e assembramenti in Asia o Medio Oriente, consegnano oggetti a distanze e in località che altrimenti non sarebbero raggiungibili. Non c’è nulla di strettamente tecnologico che proibisca la realizzazione della «sparata» di Bezos. Jono Millen, presidente di DroneDeploy, una delle aziende già attive su questa frontiera, ripete che «è tutto perfettamente fattibile».
Parrebbe, a noi consumatori qualsiasi, una sparata, uno stunt di marketing lanciato dall’abilissimo Bezos nei giorni dei grandi acquisti, anche per far dimenticare le rivelazioni sempre più preoccupanti sul trattamento degli umani nella sua azienda che spingono i carrelli per distanze medie di dieci chilometri al giorno. Ma per improbabile che appaia l’immagine di cieli urbani affollati di droni meccanici ronzanti che svolazzano come mosconi cercando la signora Rossi interno B, scala due, quinto piano, nella speranza che la signora abbia un terrazzo, altrettanto ridicolo apparve l’ingegnere serbo americano Nikola Tesla quando tentò di vendere alla UsNavy la sua barca radiocomandata nel 1891.
Anche i disegnatori di Hanna e Barbera, che si divertivano con cucine automatizzate e aereoplanini robot, avrebbero riso al pensiero di sorvolare oceani dopo appena 50 anni a bordo di jet perfettamente in grado di volare senza l’assistenza di piloti. Di viaggiare su treni, sopraelevate, metropolitane senza conduttori. Di seguire religiosamente le indicazioni di una voce sintetica che dal cruscotto dell’automobile ordina di «svoltare a sinistra » dopo 100 metri. Di consegnare il proprio corpo ammalato al laser di un chirurgo robot che lo taglia e le opera. Di guidare vetture ormai fabbricate da infallibili creature meccaniche dalle vaghe forme di rapaci giurassici.
Sembra che ormai l’uomo, nel mondo automatizzato, sia soltanto l’elemento debole, l’anello fragile, da limitare progressivamente fino alla sua eliminazione definitiva, quello che s’incarica di provocare incidenti aerei, stradali o ferroviari. La corsa alla de-umanizzazione della attività economica e dunque sociale, magari mimetizzata dietro l’equivoco dei Social Network, aumenta il passo e i droni che consegnano gli ordini sono meno incredibili di quanto oggi appaiano. Almeno fino a quando ci sarà detto che i droni portano anche i bambini, come un tempo li portavano le cicogne.


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