Com’è difficile trovare una donna rettore

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Un tubo che perde. Le ragazze con un diploma di scuola superiore che si iscrivono all’università sono quasi sette su dieci (contro poco più della metà dei diplomati maschi). Su 100 donne iscritte all’università 22 raggiungono la laurea: nel caso dei maschi, solo 15 su 100 si laureano. Eppure, nonostante la «superiorità» delle donne nella fase della formazione, le docenti universitarie sono poco più di un terzo del total e: il 35 per cento, in assoluto la percentuale più bassa del pubblico impiego, eccezion fatta le aziende municipalizzate dei trasporti.
In Francia e Germania sono poche di più, nel Regno Unito superano il 40 per cento, ma bisogna spingersi su al Nord, nella «solita» Finlandia, per arrivare alla parità. La difficoltà delle donne a raggiungere i più alti livelli di carriera non è certo un fenomeno circoscritto all’Italia, né tanto meno al mondo dell’Accademia. Le cause, anche in questo caso, sono diverse e articolate. A partire da una tendenza all’«autosegregazione», che spinge le donne a iscriversi in massa ai corsi di laurea umanistici (l’80 per cento) e ad autoescludersi da quelle scientifiche (31 per cento) e soprattutto da ingegneria (21 per cento).
Romana Frattini, ricercatrice di Fisica della materia a Ca’ Foscari, è autrice con Paolo Rossi (ordinario di Fisica teorica a Pisa) del Report sulle donne nell’università italiana (2012): «Solo nelle discipline umanistiche la percentuale di docenti maschi e femmine è paragonabile, almeno fra ricercatori e associati, ma bisogna considerare il punto di partenza: 8 iscritti su 10 sono donne. I pochi ragazzi che scelgono questi corsi di laurea sono molto motivati: e così fra gli ordinari gli uomini tornano a imporsi con largo stacco».
Poi c’è la questione delle commissioni d’esame, che sono composte quasi esclusivamente da uomini. Due docenti di economia dell’Università della Calabria, Maria De Paola e Vincenzo Scoppa, hanno realizzato uno studio sulle dinamiche dei concorsi per professore associato e ordinario prendendo come campione quelli banditi nel 2008 per Economia e Chimica. Dall’analisi del campione si vede che le commissioni composte esclusivamente da uomini tendono a scegliere i candidati maschi, mentre basta la presenza di almeno una donna in commissione per colmare lo svantaggio. Spiega Daniele Checchi, professore di Economia politica alla Statale di Milano e studioso del sistema dell’istruzione: «L’evidenza empirica dice che a parità di pubblicazioni, le donne sono svantaggiate nei concorsi a cattedra. In parte è una questione di omofilia, in parte è un problema culturale in senso lato. Penso alla mia disciplina: le donne si orientano più facilmente su economia del lavoro che su economia matematica. Come se si occupassero di argomenti con una valenza pratica maggiore. La stessa Janet Yellen (scelta da Obama per guidare la Fed) è un’economista del lavoro. Per questo sono favorevole alle quote: con le quote si corregge questo complesso culturale inconscio e sul lungo periodo si batte il pregiudizio».
In Italia le donne sembrano meno «portate» anche per i ruoli dirigenziali, se su 78 rettori italiani solo 5 non sono maschi. Lida Viganoni, professore ordinario di Geografia e dal 2008 rettore all’Orientale di Napoli, è la decana di questo sparuto manipolo. «Anch’io, i primi tempi da rettore, continuavo a pensare di dover dimostrare di essere all’altezza del ruolo. Non sono però favorevole alle quote rosa, le trovo mortificanti. In generale credo che giochi molto anche l’incapacità delle donne di fare rete. La crisi poi influisce negativamente: in assenza di turnover le donne sono la categoria più penalizzata». Cristina Messa, professore ordinario di Diagnostica per immagini e vice direttore del Cnr dal 2011, è stata nominata rettore della Bicocca il 1° ottobre di quest’anno. «Spesso le donne si autoescludono e invece dovremmo osare di più, non tirarci indietro con la scusa della famiglia. Oggi a medicina si iscrivono più donne che uomini e anche i pazienti non sono più diffidenti nei confronti di noi dottoresse. Ma la parità la raggiungeremo davvero solo quando una rettrice donna non farà più notizia: allora vorrà dire che il problema della discriminazione di genere è veramente risolto».
Orsola Riva


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