Un ruolo di garanzia ribadito su uno sfondo più fragile e lacerato

by Sergio Segio | 17 Dicembre 2013 7:00

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Il fatto che ieri abbia ricordato questo sfondo istituzionale e politico, serve in primo luogo a sollecitare i partiti ad agire sulla legge elettorale e sulla riforma del Parlamento; e a respingere le critiche di chi, come Silvio Berlusconi, evoca quelli che il capo dello Stato definisce «immaginari colpi di Stato, ai quali non saremmo estranei».
Ma le sue parole sono riservate anche agli avversari che continuano a raffigurarlo come un presidente che voleva essere rieletto e aspira a rimanere al Quirinale. Napolitano sa che la maggioranza quasi unanime del 20 aprile scorso non esiste più; ed è cambiata la coalizione delle «larghe intese» che è stata la sua creatura. Berlusconi è passato all’opposizione. E non c’è più il Pd di prima: segretario è un Matteo Renzi che non nasconde le divergenze col capo dello Stato. Eppure, sarebbe sbagliato pensare a un preannuncio di dimissioni. Semmai è un appello a non perdere altro tempo.
Quando annuncia che «doverosamente» non mancherà di esprimere «ogni mia ulteriore valutazione della sostenibilità, in termini istituzionali e personali, dell’alto e gravoso incarico affidatomi», Napolitano pone delle condizioni. Evocarle in quell’ordine, prima «istituzionali» e poi «personali», significa voler verificare i prossimi passaggi parlamentari; vedere se davvero i partiti arriveranno a un’intesa; ed evitare il «precipitare cieco verso nuove elezioni dall’esito più che dubbio», mentre «l’Europa ci guarda». Per questo chiede a Forza Italia, il partito di Berlusconi, che il 2 ottobre ha lasciato la maggioranza di Enrico Letta, di non rompere sulle riforme costituzionali.
Di nuovo, propugna una stabilità non fine a se stessa; e attenta a misurare le tensioni sociali acuite dalla crisi nella zona dell’euro. Le «incognite non decifrabili» che Napolitano indovina comportano «massima attenzione» a un malessere alimentato dalla corruzione e dall’evasione fiscale. Ma le reazioni berlusconiane sono taglienti. Gli accenni alle riforme vengono bollati come «irrispettosi» della Corte costituzionale. Farebbe meglio ad aspettare le motivazioni con le quali la Consulta ha bocciato il cosiddetto Porcellum, lo attacca Renato Brunetta. A meno che, insinua malignamente, Napolitano non le conosca già.
Nel discorso di ieri alle alte cariche dello Stato, le opposizioni tendono dunque a vedere solo l’ala protettiva del Quirinale su Letta; e un eccesso di protagonismo, che le porta a evocare il fantasma di Francesco Cossiga, il presidente-picconatore della fine della Prima Repubblica. Non conta la differenza fondamentale fra i due: nel senso che Napolitano tenta di stabilizzare il sistema, non di affossarlo. Pesa piuttosto la sensazione che, come allora, ci sia un potere in affanno agli sgoccioli. Ma ancora di più si avverte l’irritazione berlusconiana contro un Quirinale che non asseconda gli attacchi alla magistratura; né avalla la tesi estremistica del Cavaliere sui «quattro golpe» ai suoi danni: una narrativa pericolosa.

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