Khodorkovskij star a Berlino “Mi batterò per i detenuti russi”

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BERLINO — «Sono un uomo libero da appena 36 ore, dopo dieci anni. Datemi un po’ più di 36 ore per pensare al futuro. Ma la lotta per il potere, non fa per me».
Eccolo, Mikhail Khodorkovskij, sorridente e disteso, abito blu, camicia bianca, cravatta azzurra. Siamo al museo del Muro al Checkpoint Charlie, simbolo dei dolori della Guerra fredda: non a caso, è il luogo che ha scelto per la sua prima conferenza stampa internazionale dopo il viaggio dal Gulag al mondo libero.
Signor Khodorkovskij, come si sente, libero dopo dieci anni?
«Felice e insieme confuso. Dovete capire, per me è tutto nuovo, come per esempio Facebook o Twitter. Non esistevano quando fui arrestato. Insisto, datemi più tempo, mi sto godendo la libertà ma devo ancora abituarmici».
Cosa ricorda degli ultimi giorni prima del suo arresto?
«Ricordo una discussione faccia a faccia con Putin, molto tesa.
Fu ripresa dalle telecamere. Due settimane dopo, fu aperta la prima inchiesta sulla Yukos, quella che allora era la mia azienda».
Adesso da uomo libero vuole battersi per avere restituita la Yukos?
«No, e non penso a un mio ritorno alla mia vita economica. Sono soddisfatto di tutto quello che ho fatto come imprenditore. La mia situazione finanziaria non mi impone di lavorare solo per guadagnare un po’ di soldi».
Vuole allora lanciarsi nella vita politica, guidare l’opposizione?
«No, nemmeno questo. La lotta per il potere non fa per me. Però sono deciso a chiarire che quel che conta non è il mio destino personale, bensì il destino della mia patria. Ricordatevelo bene: il mio rilascio non è un simbolo che non ci siano più prigionieri politici in Russia, e voglio battermi, e fare di tutto, perché non ci siano più prigionieri politici, né in Russia né altrove. Quando hanno rapporti e contatti con il presidente Putin, è bene che gli uomini di governo occidentali si ricordino che io non
sono l’ultimo prigioniero politico. Nel mio paese ci sono ancora molti detenuti politici, detenuti ingiustamente. E molte persone che hanno una vita difficile. Per loro voglio battermi, perché la società russa migliori almeno un po’: muoversi verso la libertà, la democrazia, è fondamentale”.
Perché ha deciso di lasciare la Russia?
«Non avevo scelta. O meglio, non mi hanno offerto la scelta. Quando il comandante del campo è venuto a svegliarmi, alle due di notte, mi ha detto con un sorriso ironico che mi avrebbero lasciato andare a casa. E mi hanno accompagnato fino alla scaletta dell’aereo che mi ha portato qui a Berlino. Non intendo tornare in Russia finché non sarò sicuro che rientrando non correrò pericoli».
Ha chiesto perdono?
«No, se l’avessi fatto non solo avrei ammesso colpe che non ho, ma soprattutto avrei gettato in seri guai altre persone ancora in prigione».
Ha sofferto o rischiato durante la detenzione?
«Sì, sono stato aggredito da alcuni detenuti armati di pugnale.
Puntavano al mio occhio, hanno colpito il mio naso. Per fortuna il medico del campo era chirurgo plastico, me lo ha rimesso a posto e adesso non si vede la cicatrice».
Prova gratitudine per Putin?
«Io provo profonda gratitudine per la cancelliera Angela Merkel, perché so quanto si è adoperata per la mia liberazione. E per l’ex ministro degli Esteri Hans-Dietrich Genscher, un uomo di cui sapevo da sempre che ci si può fidare. Provo gratitudine per questo museo del Muro, che si è battuto per me. Dopo dieci anni di prigionia, è davvero difficile provare gratitudine per Putin…».
Allora prova verso il presidente odio e voglia di vendetta?
«No, io sono una persona pragmatica, e odio e vendetta
non sono sentimenti pragmatici, sono troppo emotivi. E sono anche contro il boicottaggio delle olimpiadi di Sochi: sono una festa dello sport per milioni di persone».
Cosa pensa della crisi ucraina, e della signora Tymoshenko in prigione?
«Io spero con tutto il cuore che Yulia Tymoshenko sia liberata al più presto. Il presidente Yanukovitch ha spesso contatti con Putin, sarebbe bene se la liberasse come Putin ha fatto con me».


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