I beduini resteranno nel Negev Israele rinuncia al trasferimento

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GERUSALEMME — Alla fine quella che Avigdor Lieberman definisce la carota non è stata usata. Restano le bastonate, le proteste, gli scontri nel «giorno della rabbia». E l’imbarazzo del governo di Benjamin Netanyahu: ha dovuto fermare un progetto allo studio da tre anni, quando ha assimilato che non piaceva né a destra né a sinistra.
Non piaceva all’ultranazionalista ministro degli Esteri che rifiuta l’idea di risarcire i beduini (la carota appunto, di cui ha scritto sulla sua pagina Facebook ) per ottemperare «al dovere di evacuare terre occupate illegalmente». Non piaceva agli attivisti e alle organizzazioni per i diritti umani che vedono dietro all’offerta di appartamenti con l’acqua corrente e l’elettricità un’operazione per sgomberare i nomadi arabi e lasciare spazio alle caserme dell’esercito o ai palazzi per i cittadini ebrei.
La legge per approvare il piano è stata preparata dall’ex ministro Benny Begin ed è stato lui a convincere il premier israeliano a non ripresentarla in parlamento (aveva superato il primo voto) dopo aver ammesso di non aver discusso le mappe con i capi villaggi. Prevedeva di ricollocare tra i 30 e i 40 mila beduini: vivono nel Negev in una quarantina di comunità non riconosciute dallo Stato, rocce che non hanno acquistato ma dove si sono mossi per migliaia d’anni.
Le capanne e le baracche sono sparse sulle sabbie rossastre del deserto come un tiro di dadi andato male. La mortalità infantile e il livello di povertà sono i più alti nel Paese, mancano ambulatori o l’assistenza sanitaria, solo negli ultimi anni sta crescendo il numero dei ragazzi e delle ragazze che non lasciano la scuola prima di finire le medie.
L’obiettivo proclamato era offrire loro condizioni migliori, integrarli nei centri urbani, avvicinarli alle opportunità di lavoro. «La legge va cambiata e vogliamo essere generosi — commenta Yakov Levin del Likud, il partito che guida la coalizione di destra —. Ma i beduini hanno un tempo limitato per accettare le nostre offerte: la terra dove andranno a vivere verrà registrata come affitto e non come loro proprietà».
La battaglia dei beduini è stata inglobata dai palestinesi (che hanno protestato in Cisgiordania e a Gaza) e dagli arabi israeliani. Il centro Adalah, che offre consulenza legale alle minoranze nel Paese, rivendica: «Lo Stato deve riconoscere i villaggi considerati illegali e rifornirli di tutti i servizi necessari». Sarah Leah Whitson, responsabile di Human Rights Watch per il Medio Oriente, commenta: «Adesso il governo deve cominciare a trattarli come cittadini con gli stessi diritti e fermare immediatamente le demolizioni delle loro case».
La sinistra israeliana sembra sorpresa dal successo delle manifestazioni che ha contribuito a organizzare. Haggai Matar, attivista che scrive per la rivista online «+972» , si chiede come andare avanti da qui: «Anche se sembra irrealistico bisogna combattere perché Netanyahu apra un dialogo con i leader dei beduini e decida di sviluppare il deserto del Negev per tutti suoi abitanti».
Davide Frattini


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