“I comuni sono allo stremo portiamo lo Stato in tribunale”
ROMA — «I tagli in Italia sono come le tasse, sembrano colpire sempre gli stessi soggetti. Le tasse sui i redditi fissi, i tagli ai comuni. Forse perché sono più lontani dai palazzi del potere centrale e vicini ai problemi della gente». Il sindaco di Roma Ignazio Marino è determinato: «Siamo pronti a dare battaglia. Il governo ci deve ascoltare. Negli ultimi anni alle città sono stati sottratti trasferimenti per oltre 8 miliardi, nessun altra istituzione ha subito misure tanto draconiane. È a rischio la tenuta del Paese».
Che vuol dire per voi sindaci rinunciare a 8 miliardi?
«Significa migliaia di posti in meno negli asili nido, decine di migliaia di buche non riparate nelle strade; linee di autobus cancellate; assistenza alle persone fragili azzerata. Noi quest’anno, a Roma, abbiamo fatto i salti mortali per non toccare il sociale, ma non possiamo garantire per l’anno prossimo. Si tratta di risorse che servono per pagare i servizi essenziali. Qui si sta giocando con la carne viva degli italiani. Che sono già allo stremo e non possono sopportare altri sacrifici: pena la rivolta sociale».
Qual è la vostra strategia per contenere il danno?
«Intanto speriamo nell’intervento del premier e del presidente Napolitano, ai quali ci siamo appellati perché si approvi entro fine anno una manovra correttiva. E il 29 gennaio terremo a Roma l’assemblea straordinaria dei sindaci per valutare le decisioni governo e del Parlamento e assumere le iniziative conseguenti».
Quali, se resterete inascoltati?
«Potremmo anche arrivare a una conflittualità con lo Stato, che porterà i comuni a far valere le proprie ragioni in tribunale. A partire dai crediti insoluti vantati nei confronti dell’amministrazione centrale».
Che tipo di crediti?
«Per esempio le risorse anticipate, e non rimborsate, per il funzionamento della giustizia. Lo sa che sono i comuni a sostenere le pulizie dei tribunali? Eppure quella è una funzione dello Stato».
Si rende conto però che la coperta è corta? Dove e come pensa di reperire le risorse che l’Anci chiede indietro?
«Io una mia idea ce l’ho, anche se innervosisce tanti: ci sono dei settori nel nostro paese che non si considera mai di tagliare, ad esempio i costi della difesa. Se noi chiedessimo agli italiani: riduciamo le spese per i nuovi caccia bombardieri e le navi da guerra oppure gli asili nido e l’assistenza agli anziani? Non credo ci sarebbero dubbi sulla risposta».
È una polemica antica e ancora insoluta, mentre il tempo stringe: cosa farete adesso?
«Le strade sono due: o si alzano le aliquote al 3,5 per mille sulla prima casa e all’11,6 sulle seconde, che la Legge di Stabilità ha invece fissato al 2,5 e al 10,6, oppure si trovano altre compensazioni che permettano ai comuni di recuperare almeno un miliardo e mezzo. Tertium non datur, a meno di non voler ammazzare la gente ».
Ma i comuni non possono rivalersi sfruttando la leva della “service tax”?
«Un’altra bella favoletta del governo. Si è detto: la service tax è vostra, l’imposta servirà ai comuni per fornire migliori servizi ai cittadini. Peccato che poi le aliquote vengano decise dal governo e dal parlamento. E mentre sull’Imu i comuni potevano incidere, su questa no. E così va a farsi benedire pure il principio di autonomia fiscale. Noi comuni siamo trattati come meri ufficiali pagatori: dobbiamo fornire servizi con meno soldi e non contare nulla al tavolo delle trattative. È inaccettabile».
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