Lo sgarbo di Hollande a Putin Sedia vuota all’Olimpiade di Sochi

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Il governo francese ha evitato di fornire giustificazioni — «non è previsto che le maggiori autorità vadano a Sochi», si è limitato a dire Fabius — e la parola «boicottaggio» non è stata pronunciata, ma a neanche due mesi dall’appuntamento i giochi invernali diventano un’occasione importante per misurare le relazioni tra Europa e Russia: attualmente mediocri per molte ragioni, dalle violazioni dei diritti umani e l’atteggiamento verso gli omosessuali del governo russo alla crisi siriana, dalla contesa sull’Ucraina ai missili Iskander piazzati nell’enclave di Kaliningrad e puntati verso Ovest.
Come accade sempre più di frequente, anche sui Giochi del Caucaso l’Occidente appare diviso, persino all’interno dei singoli Stati: dopo l’appello per il boicottaggio lanciato dall’eurodeputato verde Daniel Cohn-Bendit, che ha paragonato Sochi 2014 a Berlino 1936, il presidente della Germania Joachim Gauck ha dichiarato che non parteciperà alla cerimonia; ma ieri i media tedeschi (Der Spiegel e Faz ) hanno riferito della forte irritazione della cancelliera Merkel, che avrebbe preferito la distensione con Mosca.
Come Merkel, anche il leader britannico David Cameron nelle settimane scorse ha giudicato «non efficace» un boicottaggio dell’inaugurazione, mentre ancora si attende la decisione di Barack e Michelle Obama. La vicepresidente dell’Unione europea, Viviane Reding, ha invece già comunicato che non andrà «fintanto che le minoranze verranno trattate come lo sono oggi dalla legislazione russa».
L’Olimpiade di Sochi è una enorme scommessa politica di Vladimir Putin, che nel Caucaso ha fondato la sua ascesa al potere, spinto alla leadership nel 2000 dalla guerra nella vicina Cecenia. Putin è volato in Guatemala nel 2007 per perorare presso il Comitato olimpico internazionale la causa della stazione balneare sul Mar Nero, nonostante le palme e il clima subtropicale.
Grazie all’impegno personale di Putin, l’austriaca Salisburgo e la coreana Pyeongchang furono scartate. L’assegnazione dei Giochi invernali alla città russa senza neve ma amata da Stalin, che dalla dacia di Sochi ordinava le purghe negli anni Trenta, è stata una prova di forza del Cremlino, che vuole fare dell’Olimpiade la vetrina della nuova Russia ricca in economia e determinata in politica internazionale. A pochi chilometri da Sochi c’è il confine alquanto poroso con l’Abkhazia, la regione che con l’aiuto dei tank russi si è staccata dalla Georgia ed è però riconosciuta come Stato indipendente da soli cinque Paesi (Russia, Nicaragua, Venezuela, Nauru e Tuvalu).
A Sochi gli impianti sono stati costruiti da zero, e nuovi alberghi hanno affiancato i sanatori di epoca sovietica. I Giochi di Sochi sono già tra le Olimpiadi più costose della storia: 38 miliardi di euro contro i 1,4 di Vancouver 2010 e gli 11 dell’Olimpiade estiva di Londra 2012.
Niente avrebbe dovuto disturbare la messa in scena della grandezza putiniana: 500 mila metri cubi di neve artificiale costati da soli 1,8 miliardi di euro (più di tutto il budget di Vancouver) sono già pronti nella stazione di sci alpino di Rosa Khutor, costruita dal nulla (e gestita) dalla società francese Compagnie des Alpes. Eppure, adesso, Hollande e Fabius dicono no.
Stefano Montefiori


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