Renzi stravince: scardinare il sistema

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ROMA — Una bella sorpresa, gli oltre 2,6 milioni di votanti, e una conferma: Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze si prende la «ditta» che fu di Pier Luigi Bersani e diventa il segretario del nuovo Partito democratico, trionfando sugli avversari con il 68 per cento. Pesantemente sconfitto Gianni Cuperlo, il candidato della sinistra, sostenuto da bersaniani e dalemiani, che resta bloccato intorno al 18. Ultimo, l’ outsider Pippo Civati, fermo al 14 per cento.
Il premier Enrico Letta è tra i primi a congratularsi con Renzi. Spiega che la sua leadership è «rafforzata da un’ampia partecipazione» e si dice sicuro che si potrà «lavorare insieme con uno spirito di squadra». Un auspicio, più che una certezza, essendo nota la voglia di Renzi di smarcarsi dalle larghe intese. Il neosegretario (a cui arriva la telefonata di complimenti di Berlusconi)fa il suo discorso della vittoria all’Obihall di Firenze, ringraziando tutti, a cominciare da Cuperlo. Non un semplice onore delle armi allo sconfitto, ma qualcosa di più, un invito a collaborare. Perché Renzi spiega che «se c’è una persona nel Pd con cui ho voglia di dialogare e discutere quella è proprio Cuperlo». Poi una rassicurazione: «La mia vittoria non è la fine della sinistra. Stiamo solo cambiando i giocatori». Su questo è netto: «Abbiamo avuto questi voti per scardinare un sistema. Non può bastare essere iscritto al club degli amici degli amici per avere un ruolo, non sostituiremo un gruppo dirigente con un altro». E poi: «Sarò il capitano della nuova squadra».
Nessuno dei tre candidati sceglie di aspettare lo scrutinio dei voti nella sede del Pd, lasciando solo il segretario uscente, il «traghettatore» Guglielmo Epifani. Un segnale di quanto nessuno dei tre voglia identificarsi troppo con un partito che negli ultimi mesi ha subito un distacco con il suo elettorato. Ma il popolo democratico decide di confermare ancora una volta la fiducia al suo partito, andando in massa alle urne e sventando il rischio flop. Come dice Civati: «È sempre così, combiniamo disastri tutto l’anno e quando invitiamo le persone a votare, pensiamo che vengano in pochi, ma le persone sono migliori di noi e più generose».
In molti paesi si devono ristampare le schede e a Rignano sull’Arno, paese natale di Renzi, si presenta perfino, in abiti nuziali, una coppia di neosposi. Il dato dell’affluenza viene sottolineato da tutti, non ultimo da Epifani, quando ancora non ci sono i numeri definitivi: «Siamo sullo stesso numero di partecipanti delle primarie con Franceschini e Bersani».
I primi dati danno Renzi al 70 per cento. Poi a poco a poco la percentuale scende e si stabilizza. «Giornata difficile da dimenticare», è il suo primo commento, mentre le agenzie straniere già lo definiscono il «Blair italiano». La prima, parziale, analisi del voto dimostra che Renzi ha pescato soprattutto nell’elettorato del centronord: stravince nella sua Toscana, ma anche in Umbria e in Emilia Romagna.
Cuperlo incassa la sconfitta, assumendosi la responsabilità, e spiegando che «nessuno scenderà dal treno»: un modo per rassicurare dal rischio scissioni, ma anche di incalzare Renzi, spiegandogli che la sconfitta non è una resa. Il «Pierino» Civati, come lo definisce il padre di Renzi, si complimenta e pensa al futuro: «Con questo gruppo dirigente possiamo vincere le elezioni».
Tra le curiosità della giornata, il voto di Cosimo Mele, ex deputato udc passato alla cronaca per uno scandalo sessuale; l’errore di Dario Franceschini, che si dimentica di verificare la scheda e sbaglia seggio, rischiando di non votare; e il no ad Antonio Di Pietro, a cui viene vietato di votare, a Montenero di Bisaccia, perché palesemente di un altro partito.
Non mancano le contestazioni. In Sicilia erano attese proteste a Enna e sono arrivate: il deputato Davide Faraone insieme ad altri sostenitori di Renzi ha occupato un seggio, in segno di protesta perché ad alcuni cittadini sarebbe stato impedito di votare. Sotto accusa il segretario provinciale del Pd, Vladimiro Crisafulli, il quale ha annunciato una denuncia contro Faraone. Problemi anche in alcuni comuni calabresi e a Napoli, dove il comitato Cuperlo ha denunciato attività di propaganda elettorale a favore di Renzi.
Alessandro Trocino

Lo storico Stürmer: i vertici militari preferirono puntare sullo sviluppo dei caccia “Stavano accumulando uranio ma l’America era più avanti”    


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
ANDREA TARQUINI
BERLINO
«Prigionieri e internati nei campi di sterminio, furono indispensabili alla produzione militare nazista. Ma la ricerca sulla bomba fu condotta piuttosto a tavolino da scienziati, e nel laboratorio in Norvegia poi distrutto dai Lancaster. Uranio però fu immagazzinato, pare, in diversi luoghi». Lo dice il professor Michael Stürmer, uno dei massimi
storici tedeschi viventi.
Radiazioni in un lager militare? Quanto era importante il lavoro forzato dei deportati per la ricerca atomica nazista?
«Intanto anche l’impianto in Norvegia, il più importante, era insufficiente per produrre testate atomiche utilizzabili in guerra. Dopo il 1945 chi lavorava in quei programmi ne parlò pochissimo e malvolentieri. Piuttosto si occuparono di distruggere prove. Come Carl Friedrich von Weizsaecker, uno dei grandi protagonisti dei progetti, che si spacciò per angelo della pace».
Le radiazioni a Gusen cosa possono voler dire?
«I nazisti non arrivarono mai a una bomba utilizzabile e lanciabile. Ma in molti luoghi sotterranei come in certe fabbriche c’era anche radioattività naturale. I nazisti estraevano l’uranio ad Aue, dove poi nella Ddr lo estrassero i russi. I nazisti sapevano che l’uranio serviva e doveva essere arricchito e forse condussero in segreto esperimenti o lavori di ricerca anche in impianti militari, o forse poi lo nascosero là, magari per poi vendersi meglio agli alleati offrendo il loro sapere a guerra perduta ».
Quanto erano pericolosi i piani atomici nazisti?
«Piani di armamento nucleare non furono mai presi troppo sul serio dai vertici militari e dallo Heereswaffenamt, l’ufficio per la produzione mi-litare, perché richiedevano troppo tempo. Von Weizsaecker registrò nel 1941 un brevetto di progetto
(sulla carta) di bomba al plutonio. Il ministro degli Armamenti Speer lo giudicò un lavoro scientifico, non di grande rilevanza militare. Molti professori lavorarono al progetto della bomba, e credevano di poter arrivare a costruirla, Weizsaecker ne parlò di persona con Hitler, giunse a dirgli “signor Hitler, si comporti bene con noi o non avrà la bomba”. Ma non avevano a disposizione l’enorme quantità di energia necessaria per produrre la bomba. Energia e risorse furono usate per i razzi V1 e V2 o il caccia a reazione Me 262, poi reso inutile da Hitler che lo volle come bombardiere».
Tra produzione dei razzi e ricerca atomica c’erano contatti?
«Non mi risulta. I nazisti pensavano a bombardieri come vettori della bomba, ma non riuscirono mai a sviluppare un aereo adatto. I ricercatori tedeschi non arrivarono mai così vicini alla bomba, contro gli americani che erano a ben altro livello non avevano chances».
Quanto contò l’uso dei deportati nell’industria militare nazista?
«Sicuramente quei prigionieri e quei deportati utilizzati nell’industria bellica furono del tutto insostituibili. Parliamo non di milioni, ma comunque di centinaia e centinaia di migliaia di persone».
E non bastò a vincere?
«Ma no, ricognitori e bombardieri alleati erano fin troppo efficienti, localizzarono e colpirono anche impianti segreti».
E gli scienziati atomici lavorarono tranquilli dopo la guerra: nessun processo, nessuna sanzione?
«No, perché con la guerra fredda sia gli occidentali sia i sovietici “incassarono” subito quegli scienziati, a cominciare da von Braun, e migliaia di scienziati se li prese Stalin. La ricerca tedesca nelle tecnologie militari era avanzatissima, più della sua messa in pratica. Questo per Washington e Mosca contò molto di più di procedimenti penali che magari sarebbero stati auspicabili. Non fu nell’interesse
dei vincitori».


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