Ricchezza da tassare A sinistra l’eterna tentazione della patrimoniale

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ROMA — Cambiano le generazioni, ma la sinistra continua a credere nella patrimoniale. L’idea di un prelievo sulle ricchezze immobiliari e finanziarie seduce, non senza qualche imbarazzo, anche gli aspiranti nuovi leader del Pd. Lo si è visto l’altra sera su Sky nel duello televisivo tra Matteo Renzi, Gianni Cuperlo e Giuseppe Civati, in gara nelle elezioni primarie dalle quali, domenica prossima, uscirà il nuovo segretario del Pd. Il più deciso di tutti è stato Cuperlo: «Sì, è giusto» introdurre una patrimoniale, ha risposto alla domanda del moderatore. «La crisi — ha aggiunto — non è stata uguale per tutti» e una patrimoniale «non servirebbe per colpire la ricchezza ma per redistribuire una quota di ricchezza». Più cauto Renzi, il favorito: sì alla patrimoniale «ma solo dopo che la politica dà il buon esempio e inizia a tagliare lei. E dopo che il Fisco sarà chiaro, perché ora sembra la settimana enigmistica». Che, messa così, sarebbe un intervento subordinato al superamento di ostacoli così alti (i tagli alla politica) che è quasi come dire non si farà mai. Più a sinistra di tutti Civati, che giudica «una follia» aver cancellato per quest’anno la patrimoniale sulla prima casa, cioè l’Imu, ma poi, sul futuro, frena: si dice d’accordo con Renzi sul fatto che si può fare solo dopo i tagli alla politica e poi aggiunge che, per farla davvero, è necessario «prima costruire l’anagrafe dei patrimoni e riformare il catasto». E comunque conclude, il prelievo deve essere «progressivo».
Anche se il cauto Renzi vincerà, non potrà ignorare il fascino che sul Pd e sulla sinistra in genere, fin dal vecchio Pci, la patrimoniale ha sempre esercitato. Perfino in personaggi insospettabili. Giuliano Amato, per esempio. Socialista, cultore del mercato e fine costituzionalista che, nel ‘92, non esitò a prelevare nottetempo il 6 per mille dai conti correnti, una patrimoniale per salvare il Paese dalla bancarotta, che gli italiani non hanno più dimenticato. Lo stesso Amato che, tre anni fa, in un’intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera , suggerì una tassa di 30 mila euro in due anni a carico del terzo degli italiani più ricco per abbattere il debito pubblico sotto l’80% del Prodotto interno lordo. Una misura draconiana che appena un anno dopo, nel 2011, fu rilanciata in forma diversa da Pellegrino Capaldo, influente economista e banchiere, ma di radici democristiane, che sempre sul Corriere , in un’intervista ad Antonio Macaluso, propose un’imposta straordinaria sulle plusvalenze immobiliari tra il 5 e il 20% che avrebbe dimezzato il debito pubblico. Idea che però lo stesso Capaldo ha recentemente abbandonato, perché «allora poteva essere utile», ma oggi, con la crisi che ha messo in ginocchio il ceto medio, «accentuerebbe le già forti divisioni sociali».
La patrimoniale ha sempre affascinato anche la Cgil, che Renzi non ama, ma che nel Pd ancora conta molto. Di nuovo qualche settimana fa la leader sindacale Susanna Camusso è tornata alla carica: «Senza parlare di patrimoniale, che suscita drammi solo ad evocarla, noi pensiamo che le rendite finanziarie non possano più essere tassate al 20% mentre nel resto d’Europa il prelievo parde dal 25% in su. Sui Bot poi si paga ancora il 12,5% mentre nel resto del mondo siamo al 20%». La stessa Camusso ha quindi ricordato che mentre «la politica non si è mai spesa» per la patrimoniale lo hanno invece fatto «varie personalità» e ha citato, oltre allo stesso Amato, il presidente del gruppo l’Espresso , Carlo De Benedetti, che già lo scorso maggio, quando Enrico Letta divenne presidente del Consiglio, gli suggerì di «applicare una patrimoniale a partire da un certo livello di reddito in su» per reperire risorse da destinare alla riduzione delle tasse sul lavoro. «Una riforma in senso liberale — ha poi scritto sul Sole 24 ore , il quotidiano della Confindustria — non certo veterocomunista. Perché favorire fiscalmente chi produce e lavora, penalizzando chi accumula, come ci ha insegnato Luigi Einaudi, è l’essenza del liberalismo».
Una soluzione meno traumatica ma molto efficace potrebbe essere quella della «dichiarazione patrimoniale», rilanciata da Yoram Gutgeld, economista vicino allo stesso Renzi. Rilanciata perché già proposta due anni fa dai bocconiani Angelo Provasoli e Guido Tabellini sul Sole 24 ore : «La dichiarazione annuale dovrebbe fornire non solo i dati dei redditi conseguiti ma anche quelli della consistenza del patrimonio». Un passo verso la trasparenza che, anche senza nuove tasse, «consentirebbe di identificare le situazioni irregolari e quantitativamente rilevanti».
Una tassa dunque, la patrimoniale, rivendicata dalla sinistra ma che intriga anche chi vuole atteggiarsi alla Warren Buffet, il miliardario americano convinto che i ricchi debbano pagare di più. E l’Italia, dicono i dati della Banca d’Italia, è uno dei Paesi più ricchi del mondo, con una ricchezza accumulata di 8.619 miliardi di euro (5 miliardi in immobili e il resto in attività finanziarie), pari a 5 volte e mezzo il Pil: 350 mila euro in media a famiglia, 140 mila euro a testa. Con 600 mila famiglie (il 3% del totale) che, secondo il rapporto Aipb-Prometeia, hanno una ricchezza per la sola parte finanziaria superiore a 500 mila euro, per un totale di 897 miliardi di euro, metà del Pil.
Enrico Marro


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