Risparmio, i conti del superbollo Su mille euro prelievo del 3,4%

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Il prelievo sui depositi torna alla casella di partenza. Ovvero alla proposta iniziale del governo che ha inserito nella legge di Stabilità l’aumento dell’imposta che grava su (quasi) tutti gli strumenti finanziari. Se non ci saranno ulteriori modifiche (tentate al Senato e poi naufragate di fronte al maxiemendamento), l’attuale aliquota pari all’1,5 per mille su base annuale, nel 2014 salirà al 2 per mille. L’imposta che ha sostituito il bollo sulle comunicazioni finanziarie e che riguarda tutti gli investimenti (restano fuori fondi pensione, fondi sanitari, polizze vita ramo uno) diventa quindi più impegnativa per tutti, anche per gli intermediari, chiamati per l’ennesima volta ad adeguare le procedure. Ma resta marchiata da una notevole regressività: i piccoli risparmi, infatti, pagano molto di più dell’1,5 per mille (2 per mille nella nuova proposta) stabilito come regola generale.
Facciamo due conti. Con un patrimonio investito di 50 mila euro, nel triennio 2012-2014 si saranno pagati, rispettivamente, 50 euro nel 2012 (quando la tassa era pari all’1 per mille), 75 euro nel 2013 (aliquota all’1,5 per mille) e 100 euro l’anno prossimo, se, appunto, l’imposta salirà al 2 per mille.
Va ricordato però che la tassa, applicata a conti di deposito, azioni, Btp, obbligazioni, fondi comuni e così via, ha un minimo invalicabile di 34,2 euro. Questo significa che, con l’aliquota al 2 per mille, fino a 17 mila euro (la soglia di invarianza della nuova percentuale) i risparmiatori pagano un conto ben più alto. Con 10 mila euro, per esempio, il fisso di 34 euro impone a chi li tiene investiti un’aliquota del 3,4 per mille. Con soli mille euro, il taglio minimo di un Bot o di un altro titolo di Stato, un fisso di 34 euro rappresenta un balzello del 3,4%. Un catenaccio creato, a suo tempo, da esigenze di gettito e criticato fin dal momento dell’introduzione della tassa proprio perché penalizza chi ha posizioni di investimento molto piccole. Durante la lunga marcia al Senato erano stati presentati diversi emendamenti per modificare la tassa e renderla meno regressiva. Alla fine ne era sopravvissuto solamente uno, che alzava l’aliquota al 2,5 per mille e introduceva due livelli di minimo per i patrimoni inferiori a 20 mila euro: si proponevano 10 euro da 0 a 10 mila euro e 20 euro da 10 mila a 20 mila. Ma anche questo non è arrivato in porto e, forse, non è una gran perdita vista la macchinosità dell’applicazione.
I risparmiatori e gli operatori finanziari che lavorano con tanti clienti dal piccolo patrimonio tifavano per un’altra soluzione (caduta ancor prima di quella con i due minimi) che in cambio di un’aliquota più elevata per chi ha di più, eliminava del tutto il fisso di 34,2 euro per gli investimenti inferiori a 5.000 euro. Esattamente come accade per i conti correnti, dove il bollo (che in questo caso è uguale per tutti) viene applicato solo a chi supera i 5 mila euro di giacenza media annuale.
Ora la parola passa alla Camera, che riprenderà la discussione a partire dall’innalzamento al 2 per mille proposto dal governo senza cambiamenti per il minimo fisso a 34,2. I piccoli sperano ancora. A tutti quelli che dovranno far quadrare i conti converrebbe mettere in colonna anche i possibili paradossi che le tasse regressive comportano. Il più semplice è questo: se ho mille euro in un Bot e me ne chiedono 34 di bollo, potrei decidere che tanto vale tenerli sul conto corrente. Alla faccia del gettito. Ma non era il gettito la ragione per cui non si poteva togliere il minimo iniquo?
Giuditta Marvelli


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