Terremoto a Napoli, fughe e bivacchi in strada

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NAPOLI — Alle 18 e 5 minuti di ieri Napoli e quasi l’intera Campania (con l’esclusione soltanto della parte più meridionale del Salernitano) ha rivissuto il terrore del terremoto. Di domenica pomeriggio come quel 23 novembre 1980 ma per fortuna con intensità e conseguenze per nulla paragonabili alla tragedia di allora. Eppure si sono rivissute le stesse scene: fughe precipitose in strada, bivacchi per ore di gente tremante e non per il freddo, linee telefoniche in tilt e chiamate a valanga ai vigili del fuoco, ma per avere informazioni più che per richiedere interventi.
Il sisma, di magnitudo 4.9, ha avuto come epicentro una zona compresa tra Piedimonte Matese e San Potito Sannitico, entrambi in provincia di Caserta ma ai confini con il Beneventano, ed è stato avvertito anche in Molise, nel Frusinate e in alcune zone perfino a Roma. Nessuna vittima e nessun ferito, solo qualche intervento medico per malori e qualche trauma dovuto a cadute rimediate fuggendo (a San Gregorio Matese un uomo si è lanciato dalla finestra al piano rialzato ed è dovuto ricorrere al pronto soccorso). Anche il bilancio dei danni non sembra al momento particolarmente rilevante. A Napoli non si registra nulla, piccoli danni invece nella zona dell’epicentro (cornicioni e calcinacci crollati a Piedimonte).
La paura però è stata tanta, soprattutto in quelle zone di Napoli dove le ferite del 1980 non si sono mai del tutto rimarginate. I Quartieri spagnoli, per esempio, dove le gabbie di tubi Innocenti ormai meriterebbero di entrare nella toponomastica. Qui dalle case sono scesi tutti, pur sapendo che una volta in strada quei vicoli sarebbero stati comunque trappole, se ci fossero stati crolli. «Ma come si fa a rimanere fermi mentre le porte sbattono, il lampadario va a vento e il pavimento sembra che se ne voglia andare da sotto i piedi?» urla una donna seduta su un muretto a Largo Barracche al microfono di una emittente locale. Le hanno appena riferito che in tv alcuni esperti sostengono che Napoli non corre rischi, che la faglia critica comprende altri centri, quelli della dorsale appenninica. Ma a lei e a tutti gli altri che sono in strada ai Quartieri come alla Pignasecca, a Cavalleggeri come alle «case nuove» (che poi sono vecchie e fatiscenti) dietro piazza Mercato, che cosa importa di quello che dicono i tecnici. E hanno ragione. I geologi parlano da geologi, e Napoli, lo dicevano anche nel 1980, non è zona sismica di livello alto.
Ma non è solo quello che succede sotto terra a far paura ai napoletani. È quello che non è mai successo sopra la terra. Dove non è mai stata fatta una politica di interventi per mettere in sicurezza le costruzioni vecchie e vecchissime che in certi quartieri sono la stragrande maggioranza. Non molti mesi fa, a Napoli è crollato per metà un palazzo della Riviera di Chiaia e quel giorno non c’era stato alcun terremoto. Eppure quello se n’è venuto giù perché probabilmente gli scavi di una rete ferroviaria che ancora deve nascere gli hanno mangiato la terra intorno alle fondamenta. E chissà se e quante altre situazioni così esistono in città. L’Ordine degli Architetti ha formato una commissione che ha fatto verifiche di staticità in Emilia dopo il terremoto e ha ottenuto lì grandi riconoscimenti. Vorrebbero fare altrettanto a Napoli in via preventiva, ma non si riesce a partire, i contatti con il Comune finora non hanno portato da nessuna parte.
Ora la terra ha tremato di nuovo e Napoli e i napoletani si ritrovano a ringraziare la sorte benevola. Ma se questo terremoto non ha ucciso è solo merito suo, e non è detto che una prossima volta l’intensità del sisma si fermi dove si è fermata ieri. Perciò un esperto come Vittorio D’Oriano, vicepresidente del Consiglio nazionale dei geologi, sceglie la via, se non dell’allarmismo, almeno della non rassicurazione. E a napoletani e campani lancia un appello: «Dormite in macchina, per due o tre giorni. I terremoti sono imprevedibili e nelle vostre zone c’è una situazione edilizia in strutture ordinarie non antisismiche che deve indurre a molta cautela».
Fulvio Bufi


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