«Matteo ha un’idea padronale del partito»

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ROMA — La sua insofferenza nell’ultimo periodo aveva raggiunto livelli di guardia. Tanto che se non fossero nemici giurati verrebbe quasi da pensare che Stefano Fassina si era messo d’accordo con Matteo Renzi per avere il suo assist e presentare così le «dimissioni» irrevocabili ieri nel pomeriggio. Erano giorni che il viceministro dell’Economia andava rilasciando interviste e ripetendo di essere pronto a uscire dal governo.
Ieri, alla fine, ha avuto davvero il suo assist (non certo concordato): quel «Fassina chi?» pronunciato dal segretario del Pd in maniera impertinente durante la conferenza stampa a Firenze. Una reazione dura al comportamento del sindaco quella di Fassina: «Renzi ha un’idea padronale del partito». Il suo commento è di chi si sta togliendo dalle scarpe non un sassolino, ma una sfilza di sassi dolorosi.
Perché «Fassina chi?» sembra soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Stefano Fassina aveva dovuto sopportare critiche e bordate da parte di Matteo Renzi per la gestione del suo ministero durante tutto il dibattito sulla legge di Stabilità e per il decreto salva-Roma.
Ma il viceministro, prima di ieri, aveva cercato di rispondere con eleganza politica: «Secondo me è naturale che la nuova segreteria guidata da Renzi segni l’agenda di governo. E il nuovo programma va di pari passo con una nuova squadra a Palazzo Chigi». Anche se, diplomaticamente, non aveva evitato stoccate: «Il segretario rischia di diventare autocelebrativo». La verità è che, a parte le critiche dirette, dopo le primarie del Pd Stefano Fassina non era mai più stato tranquillo.
Anche se, a pensarci un attimo, tranquillo uno come il giovane viceministro dell’Economia non ci è mai stato, sin dal suo ingresso al governo. Tutto per via di quel suo carattere schietto e fumantino che lo porta a dire sempre quello che pensa, senza ipocrisie.
Memorabili le sue parole pronunciate prima di essere cooptato nella squadra di Palazzo Chigi: «C’è troppo governo Monti nel governo Letta». E ancora: «Capisco la scelta di tenermi fuori, il governo Letta è un buon compromesso per avviare la Terza Repubblica ma io non ne faccio parte perché c’è troppa contiguità con il governo Monti e una figura come la mia non può garantire questo».
Pochi giorni dopo queste affermazioni, Stefano Fassina era seduto accanto a uno degli uomini chiave della Banca d’Italia, pronto a giurare fedeltà alla Repubblica Italiana.
Forse era naturale che l’insofferenza non tardasse a farsi sentire. Non passano infatti nemmeno sei mesi dal suo giuramento nell’esecutivo che Stefano Fassina minaccia le sue prime dimissioni. Proprio per contrasti con il suo capo, il ministro Fabrizio Saccomanni.
Deciso e veemente, il viceministro sale sulle barricate: «Se non ho dei chiarimenti da Enrico Letta, se non cambiano due, tre punti della legge di Stabilità, se non vengo coinvolto, io mi dimetto, non ho alcun problema: certo non sono uno attaccato alla seggiola». Si sentiva escluso dalle decisioni, il viceministro Fassina. Si sentiva fortemente a disagio. Quella volta, era metà ottobre dell’anno scorso, il suo capo lo rincorse in corridoio per rincuorarlo. Ma la parola decisiva per la sua permanenza dentro al governo fu del presidente del Consiglio.
Quella volta fu possibile. Quella volta Stefano Fassina aveva minacciato le dimissioni e in qualche modo chiesto aiuto a Enrico Letta. Ieri pomeriggio no.
Ieri pomeriggio il viceministro dell’Economia ha presentato le sue dimissioni e ha voluto aggiungere il termine «irrevocabili». Come a dire: «Non c’è niente da fare. Il troppo è troppo».
Il premier Enrico Letta sembra che non le abbia ancora volute accettare le dimissioni di quel suo viceministro così irrequieto. Sembra che il presidente del Consiglio stia ancora tentando una persuasione per ricucire gli strappi, magari facendo leva proprio sull’attesa della direzione del partito fissata per il 16 gennaio, quella dove proprio Stefano Fassina aveva auspicato ci fosse un chiarimento a tutto tondo all’interno del Pd e venisse così compilata una nuova agenda di governo.
Alessandra Arachi


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