La Carta, poi l’incoronazione Il generale Al Sisi quasi raìs

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Come è sempre stato fino al 2011, gli egiziani domani andranno alle urne conoscendo già il risultato del voto. Al referendum sulla nuova Costituzione è infatti previsto che l’affluenza sarà massiccia e lo stesso sarà per la percentuale dei sì, entrambe oltre il 70%. Nessuno teme brogli importanti, com’era una volta. Non ce ne sarà bisogno. Presentata dal capo dei generali Abdel Fattah Al Sisi come «inizio di un’era storica per l’Egitto», l’approvazione della Carta sarà la consacrazione dell’uomo che il 3 luglio depose il presidente islamico Mohammad Morsi in diretta tv e da allora guida di fatto il governo civile ad interim e l’intero Paese.
Scontato è infatti che Al Sisi, primo «testimonial» della campagna per convincere la gente a votare (e a votare sì), attenda i risultati per candidarsi a presidente. Ma già la scorsa estate a piazza Tahrir si vendevano poster con Nasser, Sadat e il generale 59enne da poco al potere, tutti in alta uniforme e lo sguardo ispirato (mancava Mubarak, i morti della rivoluzione del 2011 erano troppo vicini). Gli slogan e i manifesti lo chiamavano «salvatore della patria». La maggior parte del Paese, già scesa in piazza contro Morsi democraticamente eletto un anno prima, lo aveva già scelto come nuovo leader. E lui, dopo aver assicurato che sarebbe presto «tornato nelle caserme» con gli altri generali, aveva poi iniziato a «non escludere» di candidarsi. Sadat gli era apparso in sogno annunciandogli che sarebbe stato il suo successore, hanno rivelato i media locali, tutti schierati con il nuovo regime. Un’apparente indiscrezione che il generale non ha mai smentito e che ha rafforzato la sua aura di uomo della provvidenza. «Se il popolo lo vorrà e le Forze armate me lo permetteranno mi presenterò al voto», ha detto tre giorni fa. I militari hanno già risposto che «a malincuore» lo cederanno all’intero Egitto. Il popolo gli darà il suo assenso domani.
Il 59% degli egiziani, dice un sondaggio, non hanno mai letto il testo della Costituzione, si fidano del futuro presidente. La maggioranza degli elettori forse non sa nemmeno che la nuova Carta non differisce poi molto da quella «islamica» di Morsi, del 2012, per le questioni religiose (la sharia resta fonte principale della giurisprudenza) e per i diritti civili, al di là di vaghe affermazioni su quelli delle donne e delle minoranze. Rafforzerà invece i poteri delle tre forze che più si sono opposte a Morsi, insieme alle élite «mubarakiane», ovvero i giudici, la polizia e soprattutto i militari. Questi ultimi nomineranno il ministro della Difesa, avranno un budget segreto, potranno giudicare in corti militari chi reca danno o offesa alle loro proprietà. Non poche visto che controllano almeno un quarto dell’economia nazionale, compresi hotel, distributori di benzina e fabbriche. Per alcuni analisti è dai tempi di Nasser che l’esercito non otteneva tanto.
Anche la repressione degli oppositori è sempre più dura. Dopo le centinaia di Fratelli musulmani uccisi in estate, e le migliaia messi in carcere, il giorno di Natale il movimento è stato dichiarato «terrorista» rendendo molto reale il rischio di pena di morte per i suoi leader, Morsi compreso. Ma anche oppositori laici sono stati arrestati e condannati solo per aver protestato contro le leggi speciali che vietano appunto le proteste e che la Carta renderà definitive. I governi occidentali ogni tanto esprimono «timori» per quanto sta succedendo. Ma gli egiziani sembrano solo volere stabilità, un po’ meno miseria, qualche prospettiva. E l’unico che pensano in grado di assicurarle è Al Sisi.
Cecilia Zecchinelli


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