Cina, il tesoro segreto del «Generale Goldfinger»
PECHINO — Per portare via i beni sequestrati al generale Gu Junshan sono serviti due giorni e due notti di lavoro di una squadra di 20 poliziotti e quattro camion. Il bottino dell’ufficiale corrotto comprendeva una statua di Mao in oro puro, lavandini d’oro, un modellino di nave in oro, lingotti, casse di liquore pregiato, un’intera cantina lunga trenta metri di bottiglie costose. Un tipo pratico il generale Gu, vicecapo dei servizi logistici dell’Esercito di liberazione popolare. Era responsabile delle infrastrutture e caserme e con la sua competenza si era costruito una specie di fortino nella città di famiglia, Puyang, provincia centrale dello Henan. E siccome i valori di solidarietà familiare sono sacri in Cina, l’alto ufficiale aveva aiutato anche i due fratelli minori a tirar su casa: il quartier generale dei Gu era diventato imponente ed era stato ricalcato sul modello della Città Proibita di Pechino.
Dove trovava tanti soldi il comandante? Le forze armate cinesi sono un gigantesco potentato economico, che controlla gruppi industriali e terra. Di tanto in tanto serve dismettere qualche appezzamento e Gu si prendeva una commissione personale per l’affare: il 6 per cento. Stessa percentuale sull’edificazione di caserme. Ma Gu sapeva anche guardarsi le spalle, facendosi voler bene da colleghi e superiori. A Pechino, dove lo aveva chiamato il suo incarico di prestigio, possedeva un’altra dozzina di appartamenti, da almeno 600 metri quadrati l’uno, pronti per essere regalati in caso di necessità.
L’inchiesta su questo Generale Goldfinger con la passione per l’oro era cominciata a gennaio del 2012. Lo avevano messo sotto inchiesta per «problemi economici», formula reticente che sta per corruzione. Il mese seguente il nome di Gu era stato cancellato dal sito web della Difesa. Poi il silenzio, perché in Cina l’Esercito di liberazione popolare è sacro dopo l’epopea della rivoluzione e criticarlo non è salutare.
Degli ufficiali corrotti non si parla mai, per rispetto e timore. Ma due anni dopo l’inizio, questo caso Goldfinger è stato raccontato con ricchezza di particolari da Caixin , una rispettata rivista. Significa che il presidente Xi Jinping si sente abbastanza forte per picchiare duro anche sui vertici delle forze armate nella sua campagna anticorruzione.
Caixin ripercorre la carriera del generale. Gu Junshan all’inizio era considerato un ufficiale scadente, ma era molto servizievole nei confronti dei superiori: alloggio fatiscente da ristrutturare? Gu trovava sempre il modo, con un bel sorriso. Poi il salto di qualità: fece breccia nel cuore della figlia di un commissario politico di divisione aerea, la sposò e, alla fine, gradino dopo gradino, favore dopo favore, arrivò a vicecapo della logistica dell’esercito. Non si dimenticò dei fratelli, ai quali affidò due fabbriche di forniture militari nella provincia d’origine.
Ma ora tira un vento nuovo a Pechino. La Commissione disciplinare del Partito comunista ha appena pubblicato i dati del 2013, primo anno dell’era di Xi, che ha promesso di «schiacciare le mosche (i piccoli burocrati che rubano) e «combattere le tigri» (gli alti funzionari che rubano)». Sono 182.038 i dipendenti pubblici puniti per corruzione nel 2013. Rispetto al 2012 c’è un aumento del 13,3 per cento, dice la Commissione, che evidentemente vuole sottolineare la serietà dello sforzo di pulizia. E oltre a un esercito di 182 mila corrotti, c’è un’armata di gente che denuncia malversazioni: gli investigatori del partito dicono di aver ricevuto un milione e novecentocinquantamila soffiate dalla gente. L’altro giorno Xi ha detto: «Dev’essere chiaro che tutte le mani sporche saranno tagliate». Addio Goldfinger Dito d’oro.
Guido Santevecchi
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