I dubbi di Letta sul metodo: ma la trattativa è aperta

by Sergio Segio | 19 Gennaio 2014 8:50

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ROMA — I margini di ambiguità che ancora esistono, un accordo di massima fra Berlusconi e Renzi di cui non tutti conoscono i dettagli, un metodo che a Palazzo Chigi non è mai piaciuto. Ma pur coltivando molti dubbi e non poche preoccupazioni, condivise nelle ultime ore con Napolitano, a cominciare dal pericolo che restino le liste bloccate, alla fine Letta decide di vedere il bicchiere mezzo pieno.
Poco dopo la conclusione della conferenza stampa del segretario del Pd, poco dopo la nota scritta del Cavaliere, anche il presidente del Consiglio mette il suo sigillo su quella «forte sintonia» di cui ha parlato Renzi. Se non porterà ad elezioni anticipate, se non spaccherà il Pd, se riuscirà ad includere gli altri partiti di maggioranza, allora l’incontro fra Forza Italia e il Pd può essere una buona notizia.
La cautela è rimarcata volutamente: l’incontro fra l’ex premier ed un leader che si comporta come premier in pectore «pare» andare «nella giusta direzione». Non usa il verbo essere il capo del governo, la scelta del «pare» sottolinea che l’auspicio di ottimismo è finora prevalente sul resto, ma senza certezze.
Insomma quella di Letta è un’interpretazione, fondata sui dati che ha disposizione, e così viene offerta all’esterno. I margini di trattativa e i punti aperti sono evidentemente ancora molti. Il premier spiega anche le ragioni di una «giusta direzione»: ovvero la convinzione della necessità di una riforma costituzionale e della legge elettorale «che tenga insieme» le forze della maggioranza e i principali partiti dell’opposizione. E se il bicchiere è mezzo pieno lo è anche per l’assicurazione del Cavaliere e l’indubbio risultato ottenuto da Renzi: Forza Italia non si tirerà fuori dal processo di riforme istituzionali. Non è poco. Sino a poche settimane fa il partito di Berlusconi proclamava il fallimento di qualsiasi ipotesi di riforma in questa legislatura, mentre oggi dice di starci, a patto di avere voce in capitolo nelle norme di riforma elettorale.
Il problema arriva subito dopo: cosa faranno Scelta civica e Nuovo centrodestra di Alfano? Riuscirà Renzi a coinvolgerli nella riforma elettorale? Il segretario del Pd ha visto ieri mattina Sc, oggi dovrebbe incontrare Alfano, ma le parole di ieri pomeriggio del vicepremier sembravano non autorizzare un facile ottimismo. Alfano si dice d’accordo su un punto della sintonia fra il Cavaliere e Renzi: anche Ncd è a favore «di uno sbarramento vero che consenta di eliminare il ricatto dei partitini», ma subito lancia un avvertimento fondato anche sui numeri alle Camere, «si scordino di fare la legge elettorale senza di noi. Non possono farla e non la faranno».
Cosa che i parlamentari più vicini al presidente del Consiglio traducono in questo modo: al Senato Renzi più Berlusconi non hanno i numeri per approvare da soli una legge elettorale, ammesso e non concesso che l’obiettivo di Renzi sia arrivare a questo risultato. «Non è un dettaglio trascurabile», aggiunge chi lavora per il presidente del Consiglio.
Nei prossimi giorni dunque l’ottimismo e la fiducia tradizionali di Letta saranno spesi per colmare i margini di distanza fra la sua maggioranza e il partito di Berlusconi. Almeno per quello che può un premier che non sta occupandosi, almeno ufficialmente e direttamente, del capitolo riforme, lasciato alla regia del segretario del Pd. Di certo, al netto dell’effetto mediatico, ieri l’iniziativa di Renzi è stata interpretata anche come una frenata: Alfano non è stato mortificato, non è stato annunciato nel merito alcun accordo chiuso con il Cavaliere, restano i margini per arrivare ad una legge condivisa sia dalla maggioranza che sostiene l’esecutivo sia da Forza Italia .
Marco Galluzzo

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