«L’economia digitale crea poco lavoro? L’innovazione però non ha alternative»

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Domanda retorica, certo. Perché basta ascoltare gli esperti dell’hi-tech, che poco prima nella sala accanto del World Economic Forum hanno discusso del nuovo contesto digitale, per capire che non esiste altra via all’innovazione. Anzi, il rapido cambiamento tecnologico costringe le aziende a diventare più veloci e a prendere più rischi. E le società sopravvivono soltanto se innovano, se diventano «disruptive», cioè rompono con il passato e riescono a «turbare» il mercato con prodotti rivoluzionari, come sono stati lo smartphone e le app, afferma Randall Stephenson, 53 anni, ceo di At&T. «Come fa un’azienda a diventare disruptive? Bisogna cogliere le transizioni del mercato e ascoltare i propri consumatori, ma questo spirito deve essere connaturato nel Dna aziendale», sostiene il manager.
Se innovazione è la parola magica per tutti, non basta investire in ricerca e sviluppo, avverte Gavin Patterson, 46 anni, ceo dell’inglese BT. «Bisogna avere chiaro quale è il proprio vantaggio competitivo ed essere aperti. Noi, ad esempio, prendiamo le migliori idee da qualsiasi parte provengano, anche attraverso alleanze con start-up nella Silicon Valley».
Marissa Mayer, 38 anni, ceo di Yahoo, sta risolvendo il problema in casa sua assumendo «le persone giuste» e «ascoltando le loro idee». «La cosa migliore che un top manager possa fare è aprire l’ambiente di lavoro e lasciare correre i dipendenti», sostiene. E annuncia che il 2014 segnerà una svolta per la società californiana: per la prima volta Yahoo si aspetta più traffico proveniente da smartphone e tablet che dai computer. Tanto che la velocità con cui si diffondono smartphone e le app che girano sui dispositivi mobili «cambierà il modo in cui la gente lavora e vive» in tutto il mondo.
La trasformazione, già in atto, ha molti aspetti positivi: «Diventa più facile connettersi e fidarsi delle persone», valuta Mayer.
La metamorfosi riguarda tutto ciò che è mobile. Compresi i braccialetti al polso per misurare i nostri progressi di fitness, contare quante ore dormiamo o quante le calorie mangiamo. Nella sala del Wef dove si discute del nuovo contesto digitale lo indossa un partecipante su tre, compreso Marc Benioff, 49 anni, ceo di Salsforce.com, che racconta un episodio divertente. Di recente Michael Dell, il fondatore dell’omonimo produttore di pc, lo ha chiamato al telefono per chiedergli se stava male, perché aveva notato che non si allenava da tre giorni (i due condividono online i progressi personali misurati dai rispettivi braccialetti). E’ la prova che «la tecnologia sta cambiando le relazioni personali», dice.
Si capovolgono anche i rapporti tra aziende e consumatori, creando un filo diretto che prima non esisteva. Il rovescio della medaglia, in mancanza di regole certe, è il rischio di perdere la propria privacy. «La legislazione e i regolamenti sono rimasti indietro, devono aggiornarsi, diventare meno intrusivi per proteggere meglio i diritti degli utenti e dei clienti», dice l’inglese Patterson. Il dibattito sulla protezione dei dati è appena cominciato Oltreoceano. Ma, dopo lo scandalo della Nsa, anche la Silicon Valley ha cambiato atteggiamento. E tutti concordano che adesso serve «più trasparenza». Perché non ci sarà né crescita economica né sviluppo se manca la fiducia dei consumatori. Riconoscendo però che al massimo potremo aspirare a una tutela della privacy al 90%, se non vogliamo mettere a rischio la nostra sicurezza.
Giuliana Ferraino


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