Legge elettorale, pressioni per cambiarla Grillo: è contro di noi
ROMA — Lunedì 27 alle 12 scadrà in commissione Affari costituzionali della Camera il termine per la presentazione degli emendamenti e quindi solo fra tre giorni si saprà se le inevitabili modifiche al canovaccio della legge elettorale tessuto da Renzi e da Berlusconi potranno essere imbrigliate in emendamenti unitari Pd-Ncd-FI, ovvero i tre partiti che hanno sottoscritto la bozza dell’Italicum. Se la prova in commissione verrà superata, per la legge elettorale si apriranno le porte dell’Aula mercoledì 29 (nel pomeriggio) e lì si avvierà la discussione generale con l’ambizioso obiettivo, nelle intenzioni di Renzi che ammette solo modifiche «accolte da tutti», di chiudere il provvedimento entro il 31 gennaio.
Un calendario così ottimista, tuttavia, può diventare carta straccia se si considera il filibustering (ostruzionismo) scatenato dai grillini con i tempi non contingentati (che invece scatterebbero a febbraio): «La legge elettorale che stanno facendo questi due è per riformare noi che siamo la variabile impazzita», ha detto Beppe Grillo davanti alla stampa estera. Per poi aggiungere: «Con l’Italicum noi saremo tagliati fuori. Ve lo immaginate un ballottaggio tra noi e il Pd? Berlusconi a chi indirizzerebbe i suoi voti con le sue tv?». Sinistri scricchiolii, poi, potrebbero arrivare anche dalle numerose stanze del Parlamento dove deputati, senatori e ministri del Pd stanno stiracchiando il testo base. Ma Renzi è stato chiaro: «Qualche franco tiratore ci sarà ma se faranno fallire la riforma elettorale senza metterci la faccia, allora si affosserà la legislatura…».
Ieri è stato molto attivo un drappello di deputati della minoranza cuperliana (D’Attorre, Giorgis, Lauricella, Lattuca) che in un lungo confronto con Maria Elena Boschi (scelta da Renzi per disegnare le riforme) e con il ministro Franceschini ha messo in discussione aspetti non secondari del testo base: la soglia di accesso per il premio di maggioranza fissata al 35% («va alzata» al 40%), i listini bloccati («vanno resi meno anonimi», magari con qualcosa che assomigli alle preferenze), le soglie di sbarramento al 5% per i partiti coalizzati e all’8% per i non coalizzati («vanno abbassate» al 4% e al 6-5%). Così la road map indicata dai deputati non renziani — mediata dal portavoce del segretario, Lorenzo Guerini — sta dando frutti: le soglie per lo sbarramento dovrebbero caleranno (e così si risolverebbe anche il caso della Lega), i candidati dei listini «scattare» in ambito regionale e non più nazionale per cui saranno più riconoscibili. E, soprattutto, verrà confermata la delega al governo per disegnare i 118 collegi plurinominali da 500 mila elettori ciascuno. I renziani, infatti, cedendo a una suggestione di Verdini avevano accettato di inserire nel testo base gli allegati A e B (per ora solo fogli bianchi) in cui si sarebbero delimitati in Parlamento i 118 collegi. Un compito, questo, per tradizione affidato alla «terzietà» del Viminale che però ora fa capo ad Alfano. Per cui FI non si fida. L’Ncd, intanto, insiste sulle preferenze e sottobanco chiede le multicandidature (stesso nome in collegi diversi). Ma Renato Brunetta (FI) ricorda che «pacta sunt servanda, altrimenti salta tutto». C’è alla fine, ma non per importanza, il problema della rappresentanza di genere: «Per ottenere la vera parità — dice Titti Di Salvo (Sel) che guida un gruppo bipartisan di deputate — è necessaria l’alternanza in lista tra uomo e donna e il 50% di capilista donne». Mentre l’attuale testo non lo garantisce.
Dino Martirano
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