Microsoft: «I nostri dati via dagli Usa»
Il Datagate continua a riservare sorprese. Edward Snowden, la fonte di tutto lo scandalo, per la prima volta ha risposto alle domande degli utenti durante una ]live chat ospitata dal sito internet free?sno?w?den?.is, piattaforma che sostiene la sua battaglia contro le accuse del governo americano. Durante tutta la giornata di ieri il sito ha raccolto via Twitter le domande nei confronti dell’ex agente. E la conferma circa la veridicità delle sue rivelazioni e il fatto che – contrariamente a quanto affermato da Obama – abbiano comportato cambiamenti epocali nelle potenzialità del business legato ai dati, è arrivato ieri l’annuncio da parte di Microsoft. L’azienda americana si è detta pronta a spostare i dati dei propri utenti su server fuori dagli Stati Uniti, così da conservarli, senza correre il rischio di farli finire negli artigli della Nsa. Secondo quanto specificato dal rappresentante legale della società di Redmond, Brad Smith, si tratta di una necessità causata dalla perdita di fiducia nei confronti degli Usa, a seguito dello scandalo; la mossa di Microsoft potrebbe essere uno spunto valido anche per altre aziende i cui dati sono stati controllati dalla Nsa.
E che qualcosa si stia muovendo negli Stati Uniti è stato dimostrato anche dai lavori di una commissione federale indipendente (la «Privacy and Civil Liberties Oversight Board») che per la prima volta ha dichiarato «illegale» il sistema di raccolta dati della National Security Agency, chiedendo che sia fermato il prima possibile. Anche Al World Economic Forum, i giganti di internet hanno detto la loro in tema di cybervigilanza. La riforma di Obama non li ha soddisfatti. I responsabili di Microsoft, Yahoo e Cisco, grandi finanziatori delle politiche nordamericane hanno chiesto «maggior trasparenza»: non solo agli Usa, ma a livello mondiale. «Rispondiamo alle domande del governo e della giustizia attraverso procedure precise — ha detto Bradley Smith, di Microsoft – ma secondo le ultime rivelazioni la Nsa filtra direttamente i centri di raccolta dati di Google e di Yahoo. Tutti gli sforzi per rafforzare il livello di protezione dei dati non possono bastare neanche a Microsoft». Smith ha già esposto le sue teorie sul sito web della compagnia, ora propone che venga istituito un sistema per gli scambi d’informazione condiviso da tutti gli stati.
Per parare i contraccolpi del Datagate, anche il gigante delle telecomunicazioni Verizon, incalzato dalle denunce delle associazioni, ha pubblicato il suo «rapporto di trasparenza», primo tra i grandi operatori Usa: nel 2013 avrebbe ricevuto dal governo 320.000 richieste dati (solo per gli Stati uniti), 2.996 per la Germania e 1.347 per la Francia. Verizon non ha ivelato a quante richieste abbia ottemperato.
In tema di sicurezza del web, Davos ha partorito la Global Commission on Internet Governance, una Commissione mondiale indipendente che stilerà nuove regole su privacy e vigilanza. A partire da maggio, un gruppo di 25 membri provenienti da diversi settori e paesi lavorerà a una relazione da presentare fra due anni. La Commissione — ideata dal Centro internazionale per l’innovazione e la governance (Cigi) e dal Chatham House (Gran Bretagna) — sarà diretta dal ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt.
Il Datagate oltre ad aver fatto emergere su larga scala l’intreccio di interessi che muove l’ossessione per la sicurezza, dilagata con la «guerra al terrorismo» nel 2001, ha finito per creare una costante attenzione al tema dei metadati. Se Obama nel suo discorso sulla pseudo riforma della Nsa, ha citato Snowden come esempio negativo, altri Snowden intraprendono gli stessi percorsi, come dimostrato dall’ex contrattista di Indianapolis, che lavorava per la Difesa statunitense e che ha sottratto a sua volta dei file sugli F35, ma è stato catturato all’aeroporto: per i giudici, una spia di Tehran. Secondo alcuni deputati repubblicani, anche Snowden ha agito per conto dei russi. «E’ assurdo — ha replicato lui da Mosca – avrei voluto andare in America latina».
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