Sbarramento fra Sel e Pd, l’alleanza è tutta da costruire

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Mat­teo Renzi, alla fine, non è arri­vato al con­gresso di Sel. Uno sgarbo, dolce stil Renzi. Ven­dola non apprezza: «Il dia­logo è facile quando si hanno le stesse opi­nioni. Ma vale soprat­tutto quando non si hanno le stesse opi­nioni. Era molto impor­tante che Renzi venisse qui, è stata un’occasione per­duta. La poli­tica deve attra­ver­sare il ter­reno del dis­senso senza paura». Al posto del segre­ta­rio nazio­nale del Pd è arri­vato il segre­ta­rio che stava in zona, quello emi­liano Ste­fano Bonac­cini, cater­pil­lar ren­ziano già ber­sa­niano. «Bonac­cini chi?», parte dalla pla­tea. Lui sta allo scherzo: «Va bene, com­pa­gni e com­pa­gne — la pla­tea già rumo­reg­gia — ma io non mi dimet­terò». Risate. Ma lo scherzo dura poco. Il demo­cra­tico parte con le riforme «da fare insieme», la prende alla larga, titolo V, bica­me­ra­li­smo. «E riforma elet­to­rale». Par­tono i fischi, «buf­fone», «ver­go­gna». Ven­dola deve inter­ve­nire : «Com­pa­gni, non potete apprez­zarmi quando parlo di ple­bei­smo e pri­mi­ti­vi­smo e poi fischiare». Bonac­cini va avanti, parla di un «nuovo cen­tro­si­ni­stra», apre alla pos­si­bi­lità di una nuova legge sul con­flitto di inte­resse ma si incarta. Alla fine prende un impe­gno pesante però: «Se nelle pros­sime ore, nella discus­sione che si sta facendo sulla legge elet­to­rale si tro­vano, tra tutti, a larga mag­gio­ranza, pos­si­bi­lità di cor­re­zioni che riguar­dino anche la soglia di sbar­ra­mento, non abbiamo pre­clu­sioni». Final­mente strappa l’applauso. Renzi lo ha man­dato qua per evi­tare di essere fischiato lui: sarebbe stato un inci­dente diplo­ma­tico e la prima volta per un lea­der che fin qui è in luna di miele con le platee.

Sotto il palco Bonac­cini mini­mizza: «È la demo­cra­zia, bel­lezza». Sel è un alleato: «Alle pros­sime regio­nali della Sar­de­gna siamo in coa­li­zione — con­stata — e così in quasi tutti i 4mila comuni che vanno al voto in pri­ma­vera». Ma il core busi­ness del con­flitto con Sel è la soglia di sbar­ra­mento dell’Italicum. «Potrebbe essere ritoc­cata, se si trova un accordo con tutti». Tutti però sta per uno, soprat­tutto, e cioè Berlusconi.

Il secondo con­gresso di Sel segna il minimo nel baro­me­tro dei rap­porti a sini­stra. Dal Pd sono arri­vati, a parte Bonac­cini, solo i ‘com­pa­gni di strada’ sto­rici: Pippo Civati, quello di «Ven­dola, fra­tello mio, dove ti abbiamo lasciato»; e Gof­fredo Bet­tini, il teo­rico dell’area del Campo demo­cra­tico, che oggi chiede a Sel di «non rin­chiu­dersi in una sini­stra mino­ri­ta­ria ma di entrare in un campo largo» che però asso­mi­glia ogni giorno di più a un par­tito unico.

Di «campo largo» qui a Ric­cione par­lano tutti. Ma inten­dono una cosa che non asso­mi­glia per niente a un par­tito unico. «Chi lo deve aprire que­sto can­tiere? Se non lo fac­ciamo noi non lo farà nes­suno. Dob­biamo rom­pere con l’idea di demo­cra­zia che si esprime in que­sta pro­po­sta di legge elet­to­rale», e cioè quella del Pd, dice Ful­via Ban­doli. E Clau­dio Fava: «Siamo stati pigri verso que­sto Pd e su Renzi abbiamo costruito un giu­di­zio troppo bene­volo. E invece è un incal­lito gio­ca­tore di poker. Quello che Ber­lin­guer diceva di Craxi». «Renzi è un mix fra deci­sio­ni­smo cra­xiano e popu­li­smo rot­ta­ma­tore — incalza Giu­lio Mar­con — attar­darsi a costruire spe­ranze è una per­dita di tempo», insi­ste, pro­po­nendo un ricorso euro­peo con­tro il fiscal com­pact e un refe­ren­dum per l’abrogazione del pareg­gio del bilan­cio in costi­tu­zione. Che il Pd ha votato.

Sul rap­porto con il Pd nella notte si gioca la par­tita degli emen­da­menti. Ma a non pen­sar bene del Pd, oggi, sono ormai in molti. «Il par­tito di Renzi è aperto a esiti impre­ve­di­bili — dice Mas­si­mi­liano Sme­ri­glio, vice­pre­si­dente della regione Lazio — vediamo cosa resterà quando si poserà la pol­vere. Renzi ha scas­sato il vin­colo della respon­sa­bi­lità nazio­nale. Ma sap­pia che non gio­che­remo per gua­da­gnarci una man­ciata di par­la­men­tari. Dob­biamo costruire un cen­tro­si­ni­stra come un solo campo. Ma in que­sto campo, noi dob­biamo occu­parci della sini­stra». Anche Gen­naro Migliore, il capo­gruppo alla camera che fa da uffi­ciale di col­le­ga­mento con Mat­teo Renzi, e con il Pse, avverte: «Renzi avrebbe fatto bene a venire da noi, per par­lare, per­ché qui non avrebbe tro­vato nes­suna soglia di sbar­ra­mento, di quelle che tanto gli piac­ciono. Ma lo sbar­ra­mento lo tro­verà in Par­la­mento per­ché noi difen­diamo il nostro pic­colo partito».

Il socia­li­sta Ric­cardo Nen­cini prova a ricu­cire e offre una sponda alla camera. Ma alle euro­pee chiede a Sel di schie­rarsi con il social­de­mo­cra­tico Schulz e con il Pse. Ma in que­sti due giorni l’applausometro con­gres­suale ha scelto chia­ra­mente per il greco Tsipras.

Il voto con­gres­suale arri­verà oggi. Oggi che Ven­dola avverte: «L’alleanza con il Pd non è scritta nelle tavole della legge». È il giorno della rot­tura, il giorno dell’orgoglio e quello dell’avvertimento: senza «i pic­coli» il Pd non vince nean­che con l’apposito Ita­li­cum. Ma domani sarà un altro giorno. E che non sia quello di un nuovo cen­tro­si­ni­stra, per la cro­naca, al con­gresso di Sel non lo chiede nessuno.


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